
Cataldo Franco è tornato in carcere. A un mese esatto dalla concessione degli arresti domiciliari per motivi di salute legate alla pandemia da Covid, l’ottantaquattrenne originario di Gangi, in provincia di Palermo, condannato all’ergastolo per il sequestro e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, è rientrato in cella: non a Opera, da dov’era uscito il 21 aprile su proposta avanzata dalla direzione del penitenziario, bensì al Lorusso Pagliarelli di Palermo, struttura individuata dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria.
Quello di Franco era uno dei casi più eclatanti di scarcerazioni “eccellenti“ di condannati in via definitiva per gravissimi reati. Una bufera che ha travolto l’ormai ex capo del Dap Francesco Basentini (sostituito da Dino Petralia) e che ha portato alle mozioni di sfiducia (entrambe respinte ieri al Senato) nei confronti del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Tornando a Franco, il suo ruolo nel rapimento del piccolo Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino, è stato ricostruito da uno dei carcerieri del bambino (Giuseppe fu ucciso dopo quasi due anni di prigionia e il suo cadavere sciolto nell’acido), Giuseppe Monticciolo. L’uomo ha confessato di aver partecipato a decine di delitti e di essere "a disposizione" di Giovanni Brusca per le operazioni più feroci, tra cui quella del sequestro del tredicenne. In particolare, Monticciolo ha raccontato di essere stato incaricato nel 1994 dal boss di San Giuseppe Jato di costruire una "prigione" con una porta in metallo nella masseria di Franco, nel territorio compreso tra i Comuni di Gangi e Geraci Siculo, nelle Madonie. Cataldo, ha riferito il “pentito“ nel libro di Vincenzo Vasile "Era il figlio di un pentito", si era mostrato felice di mettere la sua proprietà a disposizione dei carcerieri: "Il fatto è che i grandi mafiosi – la ricostruzione – facevano a gara per accaparrarsi almeno un giorno di custodia di quel bambino: sembrava che volessero guadagnarsi qualche bollino di presenza". Ora Franco è tornato in cella.
Come Francesco Bonura, che l’ha preceduto di un giorno: l’imprenditore palermitano di 78 anni, condannato per mafia, uscito da Opera il 20 aprile su istanza presentata dal suo difensore, è stato riarrestato due giorni fa e portato nel carcere della sua città natale, in attesa di essere trasferito presso uno dei reparti di medicina protetta individuati dal Dap, all’ospedali Sandro Pertini di Roma o al Belcolle di Viterbo. In totale, dagli istituti di pena della Lombardia sono state scarcerate complessivamente 41 persone (sulle 376 in tutta Italia), di cui 38 ai domiciliari e 3 in affidamento in prova ai servizi sociali: tra gli altri, sono usciti, come raccontato dal Giorno il 7 maggio, il camorrista Vincenzo Guida, lo ’ndranghetista Leonardo Priolo, la sorella del boss di Torre Annunziata Carmela Gionta e il padrino indiscusso di Caltagirone Francesco La Rocca.