"Fai il bravo sennò ti ammazziamo". Imprenditore minacciato, tre arresti

Il piano architettato da Ivan Turola per estorcere 2 milioni al titolare della Ferco. Il ruolo del capo ultrà Boiocchi

Arresto della polizia (foto di repertorio)

Arresto della polizia (foto di repertorio)

Milano - Tutto scritto su un foglio, acquisito dagli investigatori, con tanto di importi da versare. "Appalto: 74 milioni di euro. Accordo 4% chiuso – 2.950.000 euro". Sottratti 600mila euro, l’importo finale equivale a 2,35 milioni di euro. T

anto, stando alle indagini, pretendeva Ivan Turola, quarantaduenne con un passato da candidato alle Regionali 2018 con "Noi con l’Italia", dal numero uno della società Fer.Co. srl Enzo Costa, sostenendo di averlo "aiutato" a conquistare quattro lotti – del valore di 74.712.392 euro – della "gara delle gare", vale a dire il maxi appalto da 227 milioni della Sanità siciliana, finito al centro di un’inchiesta della Guardia di finanza di Palermo che nel 2020 portò lo stesso Turola ai domiciliari (nel 2021 ha patteggiato 4 anni e 6 mesi) con le accuse di corruzione e turbativa d’asta. E per costringere l’imprenditore a bonificargli quei soldi (su un conto corrente con causale "Rimborso investimento finanziario pratica vitelli/cavalli) avrebbe assoldato prima il capo ultrà della Curva Nord interista Vittorio Boiocchi e Paolo Cambedda e poi Ezio Carnago per minacciarlo in "tre tranche", come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Ileana Ramundo che due giorni fa ha portato in carcere Turola, Carnago e Gerardo Toto (zio del faccendiere).

L’indagine degli agenti della sezione Anticorruzione della Squadra mobile, coordinati dall’aggiunto Laura Pedio e dal pm Carlo Scalas e guidati dal dirigente Marco Calì, inizia la mattina del 3 marzo 2021, quando Boiocchi e Cambedda vengono arrestati in flagranza in via Pinturicchio: con loro hanno una pettorina delle Fiamme gialle, un paio di manette, un taser, un coltello e una semiautomatica con caricatore e sette cartucce Fiocchi. Cosa ci fanno a Città Studi? Ci sono andati con Toto, come accerterà l’inchiesta anche con intercettazioni ambientali, per fare irruzione nell’ufficio di Costa, in piazza Erba, salvo poi tornare sui loro passi per la presenza di telecamere di cui ignoravano l’esistenza. Finita? No, perché il 16 aprile va in scena il secondo "round", per dirla con le parole del giudice: un uomo si presenta alle 11 nella sede della Fer.Co. e dice alla segretaria dell’imprenditore (assente in quel momento) di avere un appuntamento per recapitare un plico; a mezzogiorno, la stessa persona fa sapere al custode del palazzo in cui vivono Costa e la compagna, in zona Fiera, di essere lì per consegnare una busta.

E arriviamo al 16 giugno, quando Costa viene intercettato da due persone (uno è Carnago), che gli mostrano un sacchetto con una pistola color argento all’interno: "Tu devi fare quello che ti diciamo noi, altrimenti ti ammazziamo". Non basta: alle 14.29 dello stesso giorno, l’imprenditore riceve il messaggio "Fai il bravo, conviene a tutti: oggi è stato solo un avvertimento, la prossima volta ti mandiamo i ragazzi...". In quel momento, Costa capisce che la situazione è davvero grave e si presenta in Questura per denunciare. Nel frattempo, gli accertamenti investigativi seguiti al blitz del 3 marzo hanno già portato i segugi della Mobile sulle tracce di Turola e compagnia: nei dialoghi captati dalla polizia, Boiocchi diceva di aver pattuito un compenso di 250mila euro per quel "recupero crediti".

 

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