Il mio biglietto alla luna per San Valentino

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Andrea

Maietti

San Valentino. A ottant’anni suonati mando un breve biglietto alla luna.

Da una canzoncina di Carlos Vives: "Ese beso de tu boca que me sape a fruta fresca. La niñita de mis ojos, la que me endulza la vida, la que calma mis enojos". (Quel bacio della tua bocca che ha il sapore di frutta fresca. La bambina dei miei occhi, quella che mi addolcisce la vita, quella che calma le mie ansie". Ricordi, Mariellina? Era la nostra prima sera di San Valentino.

Il teleromanzo al bar del paese dove c’era l’unico televisore. "La Cittadella", forse, con Alberto Lupo e Anna Maria Guarnieri. Ero troppo distratto a spiare nel buio del saloncino i lampi azzurri dei tuoi occhi.

"È tardi – hai detto – mia madre farà storie".

Erano le dieci e mezza: per i ragazzi d’oggi non è ancora l’ora di uscire.

Siamo usciti, tra le battute invidiose degli amici che restavano.

Buio era l’androne: la luce fioca della strada ne rischiarava soltanto un breve tratto. Mi chinai. "Hai perso qualcosa?", hai chiesto. No, era una scusa per trovare il coraggio. Ho messo una mano sulla tua spalla: il cuore mi mancava. Tu hai stretto la tua mano sulla mia. Ma ormai stavamo sbucando nel chiaro. Una bicicletta, maledizione. Era soltanto un ubriaco: passò zizzagando, con la sua canzone ubriaca. Sparì oltre la curva. Alla luce smorta del lampione: "Ciao", ti dissi, e appoggiai di scatto le labbra sulla tua guancia in fiamme.

Nessuno potrà mai rubarmi il sapore delle tue labbra sulla mia guancia che temeva di non essere contraccambiata: "Ese beso de tu boca que me sabe a fruta fresca" .

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