Il Mare Nostrum che cambia e non va ignorato

Achille

Colombo Clerici*

Gli antichi romani chiamarono Mare Nostrum il Mar Mediterraneo (definizione ripresa più volte nell’età moderna durante il Risorgimento, poi da D’Annunzio e dal fascismo). E con ragione. L’impero si estendeva su tutte le sponde di questo specchio d’acqua minuscolo che costituisce l’1 per cento di tutti i mari del globo. Ma il Mediterraneo è stato culla e sede di molte civiltà, al punto che nessun’altra parte del mondo appare sotto questo punto di vista a esso paragonabile. Tra queste civiltà, i cui rapporti furono in molti casi di incontro e collaborazione, ma in molti altri di aspri scontri e di mortali conflitti, ha preso inizio la storia politica, civile e culturale dell’Occidente. Questa nicchia acquea che può, a ragione, essere definita il baricentro del mondo, è un mare felice dal punto di vista geomorfologico, un mare problematico dal punto di vista geopolitico. Se il Mar Mediterraneo è unico al mondo a produrre, per l’incrociarsi dei venti nelle terre continentali che lambisce, una straordinaria biodiversità – così come lo è per l’Italia – è, dagli albori della storia, il luogo degli incontri e degli scontri di civiltà. Fino alla scoperta del Nuovo Mondo che ha spostato il baricentro geopolitico sulle sponde dell’Atlantico, qui si sono decisi i destini del mondo occidentale. Ma ancora oggi esso resta fondamentale per il presente e il futuro dell’Europa. Un recente evento, “La Biennale dello Stretto”, è stato l’occasione per riflettere sulle ricchezze e le potenzialità del “Mare nostrum”: un andirivieni di vita che muta in uno schiocco di dita, costantemente minacciato dalla crisi climatica. Il senso è racchiuso in una enorme mappa in grado di evidenziare tutti i flussi che caratterizzano il mar Mediterraneo: migranti in cerca di speranza, correnti, specie di pesci che arrivano da lontano, semi che fluttuano in aria e si depositano per generare nuove vite. Il Mediterraneo cambia sempre: cambia attraverso l’acidificazione delle acque, le nuove specie di pesci che arrivano dal canale di Suez, il riscaldamento delle acque e delle placche tettoniche. Tutto si muove, anche rapidamente. L’Europa non può permettersi di porlo in secondo piano.

*Presidente Assoedilizia

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