Il Derby e il mio debutto “muto”

Enrico Beruschi

Enrico Beruschi

Sono già passati 50 anni da quel giorno, in cui ho dovuto confessare in ufficio la mia seconda vita, di cui cominciava la gestazione, che si sarebbe conclusa un paio d’anni dopo, quando diventai professionista, abbandonando 14 anni da ragioniere, con una gratificante carriera da impiegato, che mi aveva portato alle soglie del titolo di dirigente. Ma in fondo, a guardar bene, non è stata una follia così avventata: sono scoccati 50 anni di palcoscenico proprio in questi giorni, da appassionato spettatore ho compiuto la capriola. La storia è lunga e non voglio tediare nessuno; però i ricordi sono affascinanti e stampati qui sulla mia ampia fronte (qualche maligno afferma, che i capelli cadono in contemporanea all’asciugarsi della materia cerebrale; spero che essi siano in errore).

Quella sera, sulla gloriosa pedana del Derby Club di Viale Monterosa, Walter Valdi invitò il pubblico ad essere gentile con quello che tremava dietro la tenda rossa del sipario, perché il poveretto si esibiva per la prima volta. Si apre la tenda, la gente applaude, io non riesco ad aprire bocca ed essi ridono, deglutisco, tento un buonasera con un fil di voce e parte un fragoroso applauso; e così per almeno 5 minuti, poi riesco a raccontare qualcosa: parlo dell’indice di gradimento e mostro il mio dito della mano destra, quello che mi serviva per schiacciare il citofono di una ragazza che mi piaceva, però senza aver nessun gradimento. Applauso clamoroso, io ci ho creduto e dopo 50 anni eccomi ancora qui, sognando tanta gente che batte le mani, con meravigliosi visi sorridenti.

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