Il caso Blanco e il pericoloso “effetto scia“

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Maria Rita

Parsi

Il pubblico di Sanremo dovrebbe perdonare. O, invece, potrebbe anche non perdonare né accettare le scuse avanzate dal giovane cantante Blanco che ha demolito a calci gli arredi fioriti del palco del 74° Festival della Canzone italiana. Ma l’inconscio, no! L’inconscio individuale di ciascun spettatore presente o televisivamente connesso e l’inconscio collettivo di chi, insieme, assiste ad uno spettacolo, non perdona. E, certamente, non perdona quello di chi, come artista, interprete, protagonista, si esibisce. È, dunque, con il suo inconscio che, anzitutto, Blanco deve fare i conti. Ed anche misurarsi responsabilmente con il pericoloso "effetto scia" che, anche grazie al rinforzo del mondo virtuale, potrebbe determinarsi nel comportamento di chi, esagitato, triste, confuso, ha, consciamente o inconsciamente, incamerato e fatta sua l’espressione plateale di quella rabbiosa, frustrata, impotente esibizione di distruttività. Distruttività che, nel suo caso, può essere stata-certamente?- dettata dalla paura, dall’ansia per la prestazione da affrontare, in prima persona, dopo aver segnato, lo scorso anno, proprio a Sanremo, il goal del primo posto, in coppia con Mahmood. Ma, soprattutto, lo scempio delle rose che arredavano il palco, paradossalmente già contenute nel titolo della sua canzone: “L’isola delle rose”, può essere stato espressione dell’incapacità a reagire alla "sindrome dell’invidia degli Dei". Ovvero di quel maledetto “Cielo degli Immortali” i quali, per essere sempre ricordati, invocati, riconosciuti come padroni e artefici d’ogni mortale Destino, mettono gli umani nella condizione di verificare costantemente l’impossibilità di continuare ad ascendere senza limiti, "senza bastoni tra le ruote", allorquando un’immensa fortuna o una grande, inaspettata vittoria li ha benificati. Così, quel guasto tecnico che ha sottratto a Blanco la possibilità di sentire la sua voce in cuffia, si è trasformato in una reazione di estrema, rabbiosa, frustrata impotenza che potrebbe costituire, soprattutto per tanti ragazzini e per tanti giovani destabilizzati, un ulteriore, pericolosissimo esempio. Visti i tempi , l’epidemia del Covid 19, il long-Covid che impazza e il Burn-out determinato dal contagio emotivo del post Covid e dalla “Internet-addiction”, nuova droga per tutte le generazioni. Ovvero di quel “Covid 20” che ha “smascherato” tanti malesseri fisici, psichici e tante follie, tanti vuoti educativi, assistenziali, economici, virtuali, legali, ancora sospesi tra impotenze, incompetenze, incapacità. Buchi neri che la mascherina non ha potuto né ostacolare né sanare. E ancor più pericolosa, poi, è stata l’affermazione del giovane Blanco, allorquando con l’alibi che "a 19-20 anni- come giustamente ha sostenuto l’ottimo Amadeus - capita di fare qualcosa che non vorresti fare" - ha cercato di alleggerire la sua responsabilità affermando che, però e, nonostante tutto, lui si è “divertito”. Ma se gli errori non soltanto non si ammettono ma non se ne analizzano a fondo, per comprenderle, le radici e le ragioni che li hanno determinati; se vengono rapidamente archiviati senza valutarne e assumersene la responsabilità; se vengono derubricati come episodi circoscritti, occasionali e da rimuovere, quegli errori non diventano, come invece dovrebbero essere, coscienziose “linee guida” per mai più ripeterli.

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