
VOLTO NOTO Guillermo Mariotto, 55 anni, stilista e giudice della trasmissione televisiva «Ballando con le stelle»
Milano, 30 settembre 2018 - La Milano da bere, secondo Guillermo Mariotto? «Un decennio in cui tutto era possibile», dice con il sorriso di chi la sa lunga il direttore creativo della maison Gattinoni, nonché famoso giurato del programma tv “Ballando con le stelle”. Settimana scorsa lo stilista di origini venezuelane ha fatto tappa a Milano, alla fiera Mipel, per presentare una nuova collezione di borse, per la prossima primavera ed estate, nate dall’accordo con il brand Anna Virgili. Serpentarium è una linea di modelli dove si colgono simboli, come la rosa alchemica, l’anello di pietra, il serpente, che attingono al Rinascimento esoterico e al mondo azteco. Rimandi colti che rispecchiano lo spirito dello stilista capace di tenere assieme Venezuela e Italia, haute couture e prêt-à-porter, sacro e profano. E Roma e Milano. «Ci sono entrambe nella mia vita. Perché scegliere?». Nella Città Eterna Mariotto vive stabilmente da tempo, ma è nel capoluogo lombardo che ha trascorso anni decisivi per la sua formazione come stilista, dopo aver conseguito una laurea alla California College of Arts di San Francisco. Tuttora ci ritorna per lavoro.
Quando è arrivato per la prima volta sotto la Madonnina?
«Nel 1980. Priva avevo vissuto un po’ a Firenze, culla dell’arte. Superato il primo impatto ho scoperto che il capoluogo lombardo non era da meno. Non sono andato subito però a fare shopping in zona Montenapoleone ma a cercare i miei miti».
Quali miti?
«Artistici. La prima tappa è stata l’Ultima Cena di Leonardo. E poi la Pietà Rondanini, a cui avrei poi dedicato una collezione in anni successivi. L’incompiuta compiutissima, la chiamo io, dove Michelangelo tocca l’essenza della drammaticità».
Parlando di moda, come mosse i suoi primi passi?
«Con degli stage. Per me fu molto importante l’esperienza nell’ufficio stile di Basile. Gigi Monti era geniale. Non solo un grande stilista che mi ha spiegato tutti i segreti del prêt-à-porter ma anche un vero signore. In quegli anni Milano era davvero la capitale della moda, più di Parigi e New York. C’era l’energia nell’aria di quando nasce qualcosa di nuovo».
Quale differenze fra il mondo fashion di allora e quello di oggi?
«Stilisti, fotografi e modelle erano molto uniti. Ci si divertiva tutti assieme di notte, certe volte non si andava neppure a dormire…Ma se c’era una sfilata si arrivava al lavoro alle 7. Dopo una ritoccatina al trucco, via. Si era pronti per la passerella come se non fosse successo nulla».
Anche in quegli anni era religioso?
«Certo, le chiese sono sempre state i miei luoghi dell’anima. Amo in particolare la piccola cappella dentro l’ospedale Fatebenefratelli. Era vicino a un residence, dove alloggiavo, in piazza Principessa Clotilde che era un luogo di perdizione… La mattina andavo in chiesa a recitare il rosario».
Come la trova Milano oggi?
«Più pacata, anche se ho il dubbio che sia io quello che si è calmato. Una città in ordine. Però bisognerebbe impegnarsi per includere la periferia nella rigenerazione e non abbandonarla a una dimensione triste».