NICOLA PALMA
Cronaca

Gli "Zoommannari" e i raid antisemiti in Rete

Insulti agli ebrei e frasi inneggianti a Hitler e Mussolini alle videoconferenze sulla Shoah: indagati sette adolescenti tra i 15 e i 17 anni

di Nicola Palma

Sette adolescenti di età compresa tra 15 e 17 anni e un ventunenne. Tutti incensurati, senza alcun legame con movimenti di estrema destra e accomunati solo dalla frequentazione dello stesso gruppo Telegram. Una di loro ha provato ad abbozzare una giustificazione ("C’ero anch’io, ma con le mie generalità, e non ho fatto nulla"), ma alla fine ha dovuto ammettere di essersi collegata con un account farlocco, come gli altri. Qualcuno ha utilizzato lo smartphone o il tablet dei genitori, e, scoperto, ha tentato di farlo sparire, convinto che sarebbe bastato eliminare fisicamente l’apparecchio elettronico per allontanare da sé i sospetti.

È l’identikit degli autori di almeno due raid antisemiti avvenuti all’inizio dell’anno in occasione di altrettanti eventi organizzati per il Giorno della Memoria sulla piattaforma per videoconferenze Zoom. Entrambi i blitz hanno interrotto le dirette streaming con insulti agli ebrei, bestemmie e frasi inneggianti a Hitler e Mussolini, con un sottofondo di musiche legate al Ventennio fascista. Gli accertamenti investigativi, coordinati dal capo del pool Antiterrorismo Alberto Nobili e dal pm Francesco Cajani, si sono chiusi ieri con otto perquisizioni degli investigatori della Digos, guidati dal dirigente Guido D’Onofrio, e della Direzione centrale polizia di prevenzione: sequestrati telefoni e pc degli indagati (in alcuni casi intestati a mamme e papà), che risultano residenti tra le province di Bari, Bologna, Brescia, Palermo, Roma, Torino, Trapani e Treviso e che facevano parte della chat ora inattiva "Zoommannari". Un nome di battaglia già emerso negli scorsi mesi per altri episodi di hackeraggio (vedi incursione del 4 marzo su Meet per interrompere una riunione del movimento letterario "Realismo terminale" in memoria del poeta Franco Loi) e cyber bullismo (vedi lezioni interrotte in più parti d’Italia). Il primo caso preso in esame dall’inchiesta è andato in scena la sera del 26 gennaio 2021, quando gli "Zoommammari" si sono inseriti con nomi inventati nel convegno in diretta streaming intitolato "Eludere il significato della Shoah: memoria collettiva e razionalità sociale. L’Olocausto come espressione della logica interna della modernità occidentale?", ideato dall’Associazione Italia-Israele di Venezia alla vigilia del giorno dedicato alla commemorazione delle vittime dello sterminio nazista.

Sin da subito, la conferenza è stata interrotta dall’azione di più disturbatori, che hanno iniziato a urlare frasi come "Viva il Duce!" e a ingiuriare gli ebrei. Una settimana dopo, la mattina del 4 febbraio, è toccato all’ultimo dei tre incontri didattici "Lo zaino della memoria" organizzati dal Comune di Cinisello Balsamo per gli studenti di medie e superiori (200 i ragazzi collegati) e tenuti dal professore di Scienze umane e pedagogiche della Bicocca Raffaele Mantegazza. "Una persona si è loggata con una foto di Hitler – aveva raccontato ai tempi il docente al Giorno – e poi è iniziata una gran confusione. Abbiamo dovuto sospendere l’incontro e spostarlo su un’altra piattaforma, Meet, ma anche lì è stato impossibile proseguire". Gli attacchi, che si sono moltiplicati nell’epoca dei collegamenti da remoto resi indispensabili dalla pandemia, hanno poi portato Zoom a rilasciare una nuova versione con due aggiornamenti di sicurezza progettati per aiutare gli organizzatori degli incontri online e delle videoconferenze a bloccare i tentativi di zoombombing e per consentire ai partecipanti ai meeting di segnalare eventuali utenti che si comportano in modo scorretto. Gli uomini della Digos sono partiti dall’analisi dei file log, e da lì sono arrivati a localizzare i device utilizzati per agganciarsi alle riunioni virtuali. Con ogni probabilità, alcuni "Zoommannari" si sono resi conto di aver giocato un po’ troppo col fuoco e sono spariti dalla chat. Una cautela tardiva e inutile per togliere la firma da quella che la gran parte dei protagonisti ha liquidato come "una goliardata". Una goliardata costata una denuncia per accesso abusivo a sistema informatico, violenza privata, propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa.