
La senatrice a vita Liliana Segre, 94 anni, è una superstite dell’Olocausto
di Anna GiorgiMILANO"Accusare di nazismo una reduce dai campi di sterminio (Liliana Segre, ndr) è diffamazione aggravata dalla finalità discriminatoria, perché è uno sfregio alla verità oggettiva ed è la più infamante delle offese per la reputazione di chi ha speso la propria vita per testimoniare gli orrori del regime e per coltivare la memoria dell’Olocausto". Lo scrive il gip di Milano, Alberto Carboni, nelle 74 pagine di ordinanza con cui ha respinto la richiesta di archiviazione del pm Nicola Rossato e ha disposto che si prosegua nelle indagini su un centinaio di altri hater a cui è contestata la diffamazione aggravata dall’odio razziale, tramite social, nei confronti della senatrice a vita, sopravvissuta alla Shoah. Il gip ha altresì disposto l’imputazione coatta per altri sette indagati che si aggiungono ai 12 che avevano già ricevuto l’avviso di conclusione indagini.
"Il web – scrive ancora il magistrato – non rappresenta un terreno franco dove ogni insulto è consentito e dove la reputazione degli individui può essere calpestata impunemente".
Tra le posizioni archiviate c’è quella di Gabriele Rubini, conosciuto in tv e sui social come Chef Rubio, contro il quale la testimone della Shoah aveva sporto denuncia. "Le frasi riportate, per quanto aspre – scrive il gip nel motivare questa archiviazione – rappresentano una manifestazione argomentata del pensiero dell’autore in ordine a un tema politicamente sensibile. I termini usati non si risolvono in espressioni offensive". In relazione alle complesse indagini per arrivare alla identificazione dei vari profili, il gip spiega che "Facebook e Instagram hanno comunicato di aver assunto in carico le richieste e hanno risposto solo su base discrezionale".
Google, si legge ancora nelle carte, "ha comunicato che il diritto dell’utente di avere opinioni e diffondere idee libere da interferenze dell’autorità pubblica prevale sul legittimo interesse delle Forze dell’Ordine nelle indagini". X/Twitter ha risposto "su base discrezionale ritenendo di poter comunicare i dati in possesso, sia di registrazione sia di connessione, solo per alcuni degli account". E Telegram "non ha fornito alcuna risposta". Il gip, però, ha spiegato che "nella maggior parte dei casi gli utenti social registrano il profilo con il proprio nome reale, inseriscono numerose informazioni personali e, dunque, la possibilità di identificare gli autori dei post è realistica". Da qui le nuove indagini ordinate al pm.