
Giovani e fragili: "Quelle testimoni a rischio suicidio"
La fragilità delle vittime, anche ad anni di distanza dagli abusi, emerge al momento del processo, quando sono chiamate a testimoniare in aula e a ripercorrere l’incubo subito. Un faccia a faccia con il carnefice che riapre ferite e traumi indelebili. "Questa profondissima fragilità a volte rende impossibile procedere all’esame – spiega Elisabetta Canevini, presidente di una delle tre sezioni del Tribunale di Milano che si occupano di questi reati – anche a seguito di certificati medici sui possibili rischi. Un’esposizione al processo, in questi casi, potrebbe avere conseguenze drammatiche, fino al rischio di atti di autolesionismo o di tentativi di suicidio".
Serve quindi un rafforzamento delle tutele per le vittime anche durante il processo, oltre agli strumenti già messi in campo dal Tribunale: dai paravento alle udienze a porte chiuse, fino al servizio di accoglienza con accompagnamento in una stanza apposita, per evitare incontri nei corridoi o davanti all’aula fra la vittima e l’imputato. "Bisogna lavorare con l’autore del reato – prosegue Canevini – per far assumere una consapevolezza, altrimenti gli episodi si ripetono in un ciclo continuo". Ed è preoccupante, osserva il giudice, anche "l’abbassamento dell’età media di autori e vittime", che rende necessario "gestire un processo con modalità nuove e diverse".
Andrea Gianni