
Orologi di pregio acquistati in Italia da una ditta di Hong Kong
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Milano - «Sta continuando l’asta, mo ancora Newman non ne sono passati". "E te l’ho detto io... ho visto la... ma ho visto le... il portale". "No, ma ci sono, ma fra poco ci sono, fra poco ci sono". 10 novembre 2018, Giovanni Fontana, uno dei tre eredi del boss dell’Arenella Stefano, sta partecipando a un’asta di orologi a Ginevra. All’altro capo del telefono c’è Marco Borriello, ex centravanti di Milan, Juventus e Roma, che chiede informazioni all’amico su un tipo di cronografo. Quella conversazione tra il presunto mafioso e il calciatore (che non risulta indagato), così come altri dialoghi agli atti dell’inchiesta della Dda di Palermo che si è chiusa ieri con 12 arresti, rivela, secondo i pm, il "preoccupante livello di infiltrazione del crimine organizzato nel tessuto dell’economia legale, in particolare, nel settore del commercio di orologi di lusso".
Sì, perché i fratelli Angelo, Gaetano e Giovanni Fontana (solo per il terzo è stata accolta la richiesta di misura cautelare), tutti trapiantati a Milano, si erano "ritagliati una nicchia di mercato nel settore, attirando anche i clienti più facoltosi, che a loro si rivolgono per ottenere i prezzi più convenienti e/o per condurre affari in partnership". Nelle 238 pagine di ordinanza, si ricostruiscono infatti i contatti tra gli uomini del clan e diversi personaggi noti (non coinvolti nell’indagine), come da informativa della Guardia di Finanza datata 6 dicembre 2019: oltre a Borriello (che nell’aprile 2018 avrebbe concluso l’acquisto di un Rolex modello 6263 oro per un valore superiore ai 400mila euro), nell’elenco figurano l’ex attaccante rossonero e allenatore Marco Simone (che tramite il suo procuratore avrebbe perfezionato la vendita di un orologio a Giovanni Fontana per 55mila euro), Lele Mora (che chiamò Angelo Fontana per chiedere il prezzo di alcuni cronografi), l’ex capitano del Palermo Andrea Rispoli, il chirurgo romano Dario Perugia e l’imprenditore napoletano Domenico "Mimmo" Gravino.
I Fontana, stando alle carte, erano molto ben inseriti in città: Giovanni, ad esempio, è stato invitato nel dicembre 2018 all’inaugurazione di un centro estetico in zona Palestro, con tanto di foto-ricordo con alcuni giocatori di Serie A e rimando al profilo Instagram Ale.Hulk (quello utilizzato da Fontana). Insomma, la compravendita di cronografi a quattro-cinque zeri era diventata il passepartout per avere accesso alla Milano che conta, nonché il sistema che il clan aveva escogitato per ripulire i soldi: "Il commercio in nero di orologi di lusso – annota il gip Piergiorgio Morosini – rappresenta l’impresa di famiglia nella quale viene investita e reimpiegata una parte rilevante del consistente flusso di denaro che trae origine dagli illeciti profitti realizzati nel capoluogo siciliano, che hanno permesso lo sviluppo nel settore in argomento di un giro d’affari rilevantissimo".
I soldi arrivavano in parte dalle provviste in contanti in parte dal denaro custodito all’estero su conti correnti intestati a terzi. Ovviamente, il meccanismo aveva bisogno di complici che ricevessero i quattrini in nero e che alimentassero il circuito delle compravendite: per gli investigatori, quelle figure erano rappresentate, tra gli altri, dai titolari delle gioiellerie Ronchi (Alessio Umberto Ferrari), Joint Future (Antonella e Giuseppe Ostinato) e Muccini (Luigi Pacia) e dai gestori della società inglese Watch&Passion Salvatore Buonomo e Giacomo Lorusso; per tutti, il giudice ha disposto i domiciliari, nonché il sequestro preventivo del frutto del presunto riciclaggio. Sigilli anche alla Luxury Hours di via Cavallotti 8, quartier generale dei Fontana formalmente di proprietà della moglie di Gaetano, Michela Radogna, già oggetto di un decreto analogo emesso nell’aprile 2019 dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ed eseguito dall’Anticrimine di via Fatebenefratelli.