Covid, il coraggio di medici e infermieri: "Combattiamo ma siamo stanchi"

Garbagnate, la testimonianza di Federica Romano, 34 anni, dottore dell'Asst Rhodense

Grande collaborazione fra medici, infermieri e operatori sanitari

Grande collaborazione fra medici, infermieri e operatori sanitari

Garbagnate (Milano), 3 dicembre 2020 - "Questa seconda ondata ci ha colti di sorpresa, soprattutto per il numero di contagi, ci sono stati giorni in cui gli accessi al pronto soccorso erano tantissimi e difficili da gestire. Anche i reparti Covid si sono riempiti in modo inaspettato. Siamo stanchi, ma ci aiuta molto il clima di collaborazione che si è creato nell’équipe, anche con colleghi medici, infermieri e operatori sanitari con i quali non avevi mai lavorato prima". È la testimonianza di Federica Romano, 34 anni, medico dell’Asst Rhodense, da mesi impegnata nei reparti Covid dell’ospedale di Garbagnate Milanese. A marzo con la prima ondata, "non sapevamo cosa ci aspettava". Ora sì, ma questo non aiuta, "quando i contagi hanno ripreso a salire, il solo pensiero di una nuova emergenza mi ha spaventato, ma sono un medico e continuo a fare il mio lavoro quotidianamente". Specializzata in geriatria, medico nell’unità operativa di medicina generale, quando c’è bisogno fa anche turni in pronto soccorso. "A marzo le province più colpite erano Bergamo, Brescia e Lodi, oggi sono Milano, Monza e Varese e l’ospedale garbagnatese sta in mezzo, il Covid lo abbiamo in casa, i pazienti non sono cambiati, vediamo anziani con patologie ma anche giovani che hanno bisogno di cure intensive", racconta il medico.

Fatica fisica e stress psicologico. E così in questo contesto la riunione del mattino con i colleghi dell’équipe multidisciplinare diventa un momento di incontro fondamentale, non solo perché c’è un confronto sullo stato di salute dei pazienti e le cure da somministrare, ma soprattutto per lo scambio di sguardi non schermati dalla visiera in plexiglass e le parole di sostegno tra colleghi non filtrate dalla doppia mascherina di protezione. Dopo c’è la vestizione, "abbiamo una stanza del pulito che usiamo al mattino per infilare il camice e gli altri dispositivi di protezione individuale e una stanza dello sporco, dove fine turno ci svestiamo, mettiamo tutto in un sacchetto. Quando indossiamo la tuta blu o bianca non siamo facilmente riconoscibili sia tra di noi che da parte dei pazienti - racconta Romano - a volte scriviamo il nostro nome sulla tuta. I più fantasiosi nei disegni sono i fisioterapisti". Purtroppo al clima di collaborazione che si respira nei reparti, a volte si contrappone la scarsa sensibilità di chi sta fuori, "si cerca sempre di trovare un responsabile. Nei primi giorni ci sono stati disagi, attese lunghe in pronto soccorso, problemi per pazienti e familiari, c’è chi si è arrabbiato e ha alzato la voce, ma c’è anche chi ha capito la situazione, avuto pazienza e ci ha anche ringraziato".  

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro