Gabriele, un papà rivoluzionario: “Adoro cambiare pannolini”

Il racconto di Gabriele Porta, 42 anni, che spartisce in maniera equa la cura del figlio co la moglie: “Sono fortunato. Se entro un’ora più tardi al lavoro non c’è problema, in altre aziende non è così”

Gabriele Porta, con il piccolo Yuki e la moglie Shoko

Gabriele Porta, con il piccolo Yuki e la moglie Shoko

Milano - Padre e madre si spartiscono in maniera equa e simmetrica i compiti di cura del figlio. Una famiglia ultra-moderna quella di Gabriele Porta, direttore creativo digital dell’agenzia pubblicitaria milanese Gitto Battaglia 22. L’uomo ha 42 anni ed è sposato dal 2010 con la giapponese Shoko, 39.

Si sono conosciuti tanti anni fa nell’aula di un’università londinese, dove Porta studiava storia dell’arte e la futura moglie letteratura inglese. Da quel momento non si sono più lasciati. Dopo un periodo nel Sol Levante – "Ho cercato di imparare il giapponese ma era impossibile", racconta il creativo – si sono trasferiti a Milano. Tre anni fa hanno messo al mondo il loro primo e ad oggi unico figlio.

Yuki è nato in un momento particolare.

"Sì, era appena iniziato il lockdown. Per i tre mesi successivi abbiamo condiviso lo stesso spazio e tempo, vissuto in simbiosi. Un po’ in isolamento perché allora nessuno andava nelle case altrui per paura del contagio. Lavoravo in smart working. Di quei primi mesi di vita di mio figlio ho ricordi preziosi. All’inizio però non sapevo se sarei stato all’altezza di essere un padre: uno schifiltoso come me che cambiava il pannolino... Invece è una delle cose più belle in assoluto, come fargli il bagnetto. Ma anche per mia moglie è stato un aiuto avere a fianco qualcuno in casa 24 ore su 24 in un periodo non facile, con i genitori a diecimila chilometri di distanza e la perdita del lavoro nell’azienda di import-export dove lavorava, a causa del Covid-19. Se voleva farsi un riposino nel pomeriggio lo poteva fare, senza troppe preoccupazioni. Ho iniziato anche a occuparmi della spesa, a portare il piccolo dal pediatra".

Si sente un po’ «papà-mammo»?

"Diciamo che nella coppia sono il più apprensivo. Infatti nel modello di educazione giapponese i figli sono educati sin dalla più tenere età all’indipendenza. Da piccola mia moglie, per dire, andava e tornava da scuola da sola e cucinava pure da sola a pranzo già in seconda elementare perché entrambi i suoi genitori lavoravano. Quindi succede che se Yuki rimane solo nella stanza io mi preoccupo, lei un po’ meno. Quel che osservo però è che mio figlio non difetta di autonomia ed è certamente un bene".

La cultura della condivisione della cura prosegue tuttora?

"Sì, non sono mai uscito dal "tunnel"… Dal 2021 sono ritornato gradualmente in ufficio ma in agenzia vigono orari flessibili. Yuki oggi va all’asilo: se entro un’ora più tardi perché voglio accompagnarlo a scuola non c’è problema, perché la cosa non interferisce con la mia produttività. Mi considero fortunato: in altri ambienti aziendali so che me lo farebbero pesare".

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