Fontana, soldi “svizzeri” in archivio

Inchiesta al capolinea dopo che la magistratura elvetica ha respinto la rogatoria

Attilio Fontana

Attilio Fontana

Milano -  No rogatoria, no processo. Dopo il no della Svizzera all’aiuto documentale, la Procura ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta in cui il governatore lombardo Attilio Fontana è indagato per autoriciclaggio e falso nella “voluntary disclosure“ in relazione a 5,3 milioni di euro che erano depositati su un conto a Lugano, “scudatì“ nel 2015, e in particolare riguardo a parte di quella somma, ossia 2,5 milioni, ritenuti dagli inquirenti frutto di presunta evasione fiscale.

L’istanza firmata dai pm Paolo Filippini e Carlo Scalas e dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli è stata inoltrata all’ufficio gip nei giorni scorsi dopo che la Svizzera non ha risposto a una rogatoria inoltrata a marzo dell’anno scorso, nonostante lo scorso settembre sia stata sollecitata formalmente. Fontana ha sempre ribadito che quella somma, regolarizzata 6 anni fa, era il lascito ereditario di sua madre. Per dimostrarlo, a metà maggio, i suoi difensori, gli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa, hanno depositato documentazione bancaria a partire dal ‘97 e relativa ai conti svizzeri sostenendo che non c’è stato alcun versamento in contanti ma che si trattava di denaro investito in titoli, fondi e altro, e riconducibile alla madre.

Ora la parola passa al gip.Il tesoretto era stato scoperto nell’ambito del procedimento sulla commessa di 75mila camici forniti alla Regione da Dama, azienda di Andrea Dini, cognato di Fontana. Il presidente lombardo si è sempre difeso argomentando che il denaro fosse dell’anziana madre Giovanna Maria Brunella, deceduta nel 2015, e la cui firma appare al termine del documento di collaborazione volontaria. La Procura, invece, ha sempre ritenuto che il denaro non fosse compatibile con l’attività della donna, titolare di uno studio dentistico.

Non solo, secondo gli inquirenti la firma apposta sul documento non sarebbe genuina. L’analisi grafologica della procura, infatti, avrebbe evidenziato “la falsità della firma apposta”. La Svizzera ha però rigettato la richiesta di assistenza giudiziaria rivoltale dalla magistratura milanese, perché il reato di evasione fiscale (ormai prescritto) non è riconosciuto dall’ordinamento elvetico. Quei soldi erano custoditi in un conto svizzero che dal 1997 e fino allo scudo fiscale erano stati gestiti da una fiduciaria milanese e tenuti in un doppio trust alle Bahamas.

Intanto il prossimo 18 marzo per Fontana si svolgerà, davanti al giudice dell’udienza preliminare Chiara Valori, l’udienza per il caso camici.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro