
Polizia postale
Milano, 17 dicembre 2019 - Kafka entra in banca. "Un pomeriggio mi telefona una funzionaria dell’istituto di credito e mi dice, con un certo imbarazzo, che il mio nome figura nella “centrale rischi” per i miei assegni scoperti. Ho fatto un salto sulla sedia". Cominciò così, qualche anno fa, l’avventura dell’avvocato Franco Rossi Galante, stimato legale del foro di Milano, e dei suoi assegni mai staccati. C’era, evidentemente, qualcosa che non tornava. "Ho controllato immediatamente i libretti che avevo – racconta – e sono entrato online nei conti correnti per verificare che tutti gli assegni che avevo emesso fossero stati effettivamente pagati. Era proprio così. E allora?".
La mattina dopo il legale si precipita nella sua banca. Da un controllo più approfondito spuntano fuori sei assegni risultati scoperti a suo nome su conti correnti diversi per circa 30mila euro complessivi. Le generalità sono le sue, corrispondono luogo e data di nascita e codice fiscale, non però la residenza. L’avvocato sporge immediatamente denuncia. Il deposito su cui erano tratti gli assegni era stato aperto alla Banca Nazionale del Lavoro. Un altro risulterà alla Cassa di risparmio di San Miniato. Ancora un terzo alla Banca Sella, con emissione di altri assegni fasulli. Il truffatore, si scoprirà in seguito, si chiama Francesco Renzo Rossi, 60enne milanese che aveva falsificato una patente e un certificato di attribuzione del codice fiscale "apparentemente emessi a nome di Rossi Galante Franco", carpendone gli estremi dal sito web dell’Ordine degli avvocati. Dopo la denuncia immediata da parte del legale, gli investigatori scopriranno che il fasullo avvocato Rossi Galante aveva seminato assegni scoperti qua e là, dal supermercato al benzinaio, in genere per somme non elevate e dunque non tali da generare sospetti. Il truffatore, però, finirà per inciampare sulle vacanze.
Nel senso che un giorno decise di portare moglie e figli in un villaggio organizzato pagando con il solito sistema a firma Rossi Galante, ma poi come ospite si dovette registrare insieme alla famiglia con nome e cognome autentici. E quella volta commise l’ingenuità imperdonabile di farsi beccare ancora nel villaggio quando scoppiò la grana del solito conto scoperto. L’operatore turistico fece fare un controllo dei documenti dell’"avvocato" Renzo Rossi, e il trucchetto svanì nel nulla. Non - però - senza qualche paradossale effetto malefico a danno del vero avvocato Rossi Galante, il quale anche se in tutta la storia non c’entrava per nulla, si ritrovò per qualche tempo suo malgrado sul bollettino dei “protestati” con annesse seccature bancarie, almeno finché la giustizia (e la burocrazia) non fecero lentamente il loro corso. Il tribunale condannò il falso avvocato a tre anni e 4 mesi di reclusione per falsità materiale e sostituzione di persona. Pena che verrà abbassata in Appello a due anni e dieci mesi e in quei termini confermata dalla Cassazione. Già in secondo grado l’ipotesi di reato di falsità in titoli di credito era stata derubricata. Il Rossi condannato,all’epoca già in carcere per altre pene da scontare, risultò ad ogni buon conto un habituè delle truffe, che aveva incrociato il suo metodo tradizionale con la mole di informazioni sempre più dettagliate che si possono ricavare dal web.