Eterologa, il Tar contro la Regione Lombardia

I giudici annullano i limiti all'accesso alla procreazione assistita previsti dalla Giunta negli ospedali pubblici

I giudici hanno accolto il ricorso di una coppia

I giudici hanno accolto il ricorso di una coppia

Milano, 23 luglio 2019 - Il Tar ha annullato la delibera con la quale la Regione Lombardia aveva fissato alcuni limiti alla possibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa come prestazione assicurata dal Servizio sanitario. Fino a ieri era previsto che potessero richiedere e ottenere tale prestazione le donne con non più di 43 anni di età e che le stesse potessero essere sottoposte a non più di tre cicli nelle strutture sanitarie pubbliche. A fare ricorso è stata una coppia. E il tribunale amministrativo ne ha accolto le ragioni. Nella loro sentenza, i giudici sottolineano che, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, non vi è attualmente alcun limite alla possibilità di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita omologa e, quindi, che non vi può essere una «disciplina differenziata» per l’eterologa. Stabilire norme diverse per l’una e per l’altra tecnica «sarebbe irrazionale» in quanto non c’è «alcuna valida ragione scientifica» che autorizzi tale disparità di trattamento. Anzi, insistono i giudici del Tar, si verrebbe meno «al principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione».

Nella sentenza  si fa poi presente che tra le norme richiamate dalla Corte Costituzionale e dalla stessa ritenute applicabili anche all’eterologa «c’è la legge 40 del 2004», una legge che «facendo riferimento all’età potenzialmente fertile, non pone limiti precisi riguardo all’età della donna che chiede l’accesso alla tecnica». Se tale accesso è consentito fino a che la coppia sia potenzialmente fertile, questa possibilità, scrivono i giudici, può presentarsi anche oltre il limite del 43esimo anno di età. Infine il limite dei tre cicli: «Ritiene il Collegio – si legge nella sentenza – che anche questo limite sia illegittimo in quanto volto a differenziare la discplina delle due procreazioni medicalmente assistite», mentre «la Corte Costituzionale ha sottolineato che le due tecniche rappresentano due species di un unico genus, mirando entrambe a superare le difficoltà di fertilità della coppia, realizzando obiettivi e risultati sostanzialmente analoghi».

Giulio Gallera, assessore regionale al Welfare, promette di fare «immediatamente ricorso contro la sentenza del Tar» e sottolinea, a sua volta, che «i limiti fissati dalla delibera lombarda sono gli stessi discussi e approvati nel 2014 nella Conferenza Stato-Regioni dopo aver audito più esperti». Un fatto, quest’ultimo, che al Tar non sfugge ma che non è considerato decisivo: «Non è decisivo – scrivono infatti i giudici – il fatto che tali limiti sono stati previsti nelle linee guida dettate dalla Conferenza delle Regioni» perché «tale atto ha natura di proposta» e «in esso non sono contenute prescrizioni vincolanti, tanto che alcune regioni (il Friuli Venezia Giulia) hanno ritenuto di estendere ad entrambe le tecniche il limite di età fino ai 50 anni». Soddisfatto Michele Usuelli, consigliere regionale di “Più Europa”: «In aula lo scorso 5 febbraio avevo sottolineato come fosse assurdo che ogni Regione potesse fissare un limite d’età diverso e quindi necessariamente arbitrario per fecondazione omologa ed eterologa. Ora è il giudice a dettare i tempi dell’agenda dell’assessore Gallera».

 

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