Enzo Mari e Lea Vergine, un amore troppo grande

Lei, 82 anni, critica d’arte, se n’è andata poche ore dopo il designer. Subì pressioni per quell’amore considerato "scandaloso"

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di Gian Marco Walch

Coppie indissolubili, magari dalle vite, se non turbolente, almeno increspate, ma unite strenuamente nella morte. Simone de Beauvoir insistette fra le lacrime perché la lasciassero sdraiarsi accanto al corpo ormai freddo di Jean-Paul Sartre, il 15 aprile 1980: invano, precauzioni sanitarie glielo impedirono. Senza barriere di cultura, o di classe: qui si parla unicamente d’amore. Il 16 dicembre 2012 all’ospedale di Desenzano del Garda moriva Febo Conti, il popolarissimo conduttore tv del gioco culturale per ragazzi “Chissà chi lo sa?”, seguito il sabato pomeriggio da milioni di piccoli spettatori che attendevano solo il fatidico grido “Squillino le trombe, entrino le squadre!”: quattro giorni dopo, all’ospedale di Montecroce, sempre nel Bresciano, un infarto stroncava la moglie di Conti, Italia Vaniglio, una delle più note cantanti dell’avanspettacolo italiano degli anni Quaranta - sposati dal 1953, uniti anche nell’aldilà: le loro ceneri vennero disperse nell’Oceano al largo delle coste del Brasile, dove avevano casa da un paio di decenni -. Ancora più tragicamente fulminante la sorte di Benito Jacovitti, il fumettista padre di Cocco Bill, e della moglie Floriana Jodice, il 3 dicembre 1997: lui morto subito dopo il pranzo, lei pure uccisa dal dolore di un infarto sei ore dopo, appena il tempo di dire alle amiche “Speriamo di poterlo raggiungere presto...”.

Ieri è morta a Milano a 82 anni Lea Vergine, curatrice e critica d’arte apprezzata e amata. Un giorno dopo la scomparsa del marito Enzo Mari, il più serio e corrosivo designer italiano, di sei anni maggiore. Altre due vittime illustri del Coronavirus, che non guarda in faccia nessuno: ad aver ragione di Lea ed Enzo, al San Raffaele, sono state complicazioni legate alla nuova ondata della pandemia. Nata a Napoli con il nome di Lea Buoncristiano, Lea Vergine si era trasferita a Milano negli anni Settanta. E della vita culturale della metropoli è stata un’assidua e appassionata protagonista: notissima per l’eleganza, l’ironia, il gusto della battuta, ma anche, per lasciare un piccolo spazio al costume, per l’eterna sigaretta e il ciuffo di capelli bianchi.

A Milano Lea Vergine era riuscita a conquistarsi quell’affermazione che Napoli le aveva duramente negato: anzi, la città partenopea l’aveva ostracizzata, accusandola addirittura di concubinato per la sua “scandalosa” convivenza con Enzo quando il designer era ancora sposato con Iela Mari. Due i testi che soprattutto rimarranno a lungo come opere di lettura e di studio fra i tanti firmati da Lea Vergine. Il primo, uscito nel 1974, s’intitola “Il corpo come linguaggio”: saggio d’avanguardia, esplorazione coraggiosa di una corrente artistica che, nella sua accezione moderna, contava appena pochi anni di vita, quella “body art” che vede il corpo assunto a strumento espressivo capace di emozionare l’altro investendolo di stati psichici ai più svariati livelli. Secondo testo, “L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940”, esplicito il sottotitolo “Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie artistiche”: apparso nel 1980, il volume è stato, anzi, è la prima indagine sul contributo delle donne agli snodi artistici del Novecento. Femminista. Rivoluzionario.

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