Emergenza hikikomori, 10mila ragazzi autoreclusi: "Cresce il disagio, tagliano i servizi"

Allarme sociale a Milano e hinterland. L’Ats spende solo lo 0,48% del suo budget per la neuropsichiatria infantile. Allarme con la ripresa della scuola

Allarme Hikikomori

Allarme Hikikomori

Milano - "Ho cominciato a odiare me stesso perché la manipolazione psicologica che ho subito mi ha fatto credere di essere il problema, quando invece non è così. Questi traumi, che sto ancora cercando di eliminare, mi hanno reso un isolato, un hikikomori, per 10 anni, senza un diploma, senza una vita sociale e con il costante pensiero che i miei carnefici sono riusciti a passarla liscia". Roberto, nome di fantasia, a 25 anni ha deciso di prendere carta e penna e scrivere una lettera all’associazione Hikikomori Italia, destinata a una professoressa che si sarebbe voltata dall’altra parte quando lui subiva episodi di bullismo a scuola. Episodi all’origine di un ritiro sociale lungo dieci anni, una vita sospesa nel guscio delle mura domestiche. Roberto fa parte dell’esercito di hikikomori, termine giapponese che significa letteralmente "stare in disparte". Persone che hanno scelto di chiudersi in casa, e di coltivare relazioni sociali mediate solo dallo schermo di un pc o di uno smartphone. Secondo le stime dell’associazione, a Milano e nell’area metropolitana sono circa 10mila le persone che soffrono del disturbo, in forme più o meno gravi.

"In media riceviamo da 40 a 50 richieste di aiuto ogni settimana a livello nazionale soprattutto da parte dei genitori – spiega Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia – e il 20-30% del totale arriva dalla Lombardia". L’età media degli hikikomori è di circa 20 anni, ma il dato più allarmante è l’abbassarsi dell’età in cui si manifestano i primi disagi: 12-13 anni. I disturbi sono cresciuti durante la pandemia. E l’inizio dell’anno scolastico, con la ripresa delle lezioni, è uno dei periodi dell’anno più critici. Un ritorno alla normalità e alla routine che rischia di confinare gli hikikomori ancora più ai margini. "Con la pandemia il problema si è cronicizzato – spiega Crepaldi – e ci aspettiamo un boom di richieste di aiuto tra ottobre e novembre, con il fallimento dei tentativi di inserimento scolastico. Senza un intervento si innesca un circolo vizioso, perché un adolescente che abbandona la scuola e si chiude in casa è destinato a diventare un giovane Neet e poi, quando nel corso della vita viene meno il sostegno economico dei genitori, un adulto non autosufficiente". L’associazione organizza gruppi di supporto, offre sostegno psicologico e aiuto nel reinserimento. Una goccia nel mare, in un panorama che vede, nonostante la crescita del disagio, tagli dei servizi pubblici dedicati alla cura dei disturbi psichici e delle attività di prevenzione. Pochi soldi e poche idee sul tavolo, come emerge anche da una analisi della Uil Lombardia sui budget di quattro Ats (Città metropolitana, Brescia, Bergamo e Insubria) che coprono una parte consistente del territorio regionale. L’Ats Città metropolitana dedica solo lo 0,48% del budget complessivo 2022 (15.613.900 euro su un totale di 3.237.707.134 euro) alle attività di Neuropsichiatria Infanzia e Adolescenza (Npia), quindi per attività di prevenzione e cura per i minorenni in situazioni di disagio. Cambiando Ats, la situazione è sempre la stessa.

L’Ats Brescia spende lo 0,42% del buget contrattato con gli operatori pubblici e privati, l’Ats Bergamo lo 0,44%. All’Ats Insubria si arriva allo 0,62%. "L’aumento del disagio tra i giovani richiederebbe un aumento delle risorse – spiega Salvatore Monteduro, della segreteria Uil Lombardia – e invece avviene il contrario, per effetto di anni di tagli a livello nazionale e regionale. Servirebbe un “piano Marshall“ sulla sanità, anche con progetti concreti e assunzioni – prosegue – perché gli effetti più gravi rischiano di manifestarsi nei prossimi anni".

 

 

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