Emergenza educativa, il pedagogista: "Rissa tra adulti e nessuno ascolta i ragazzi"

Figli iper-protetti e competitività. Raffaele Mantegazza: a ciascuno il suo ruolo, serve una tregua

Lezione in Dad

Lezione in Dad

Milano - Battaglia in tribunale per contestare la bocciatura del figliolo o per riammetterlo all’esame. Caccia al “colpevole“, sia un prof troppo severo o il fantasma della Dad. "Tregua": chiede il pedagogista Raffaele Mantegazza, docente dell’università di Milano- Bicocca. "È la prima cosa da fare: una tregua tra adulti, senza mettere sempre in discussione l’onestà altrui e la volontà dell’altro, recuperando ciascuno il proprio ruolo".

Professore, c’è un diluvio di ricorsi davanti al Tar contro le scuole. "È molto triste che questioni educative finiscano davanti al giudice. Un conto quando c’è una chiara ingiustizia, un abuso, una situazione illegale, non per discutere l’esito di uno scrutinio, che può anche non essere condiviso. L’abitudine di andare immediatamente dall’avvocato è gravissima".

Come la si può arginare? "Inutile ribaltarsi a vicenda le colpe. Bisogna ripartire dal patto educativo. La scuola, da parte sua, deve sforzarsi di capire che le cose sono cambiate completamente per rimettersi in asse rispetto agli anni vissuti, non può non mettere in discussione il metro di valutazione, verifica e apprendimento. E i genitori devono imparare a fidarsi. Mandare i figli a scuola significa affidarli a insegnanti e dialogare quando le cose cominciano a non andare bene. Ci sono gli organi collegiali, ci sono i colloqui. Invece spesso si arriva impreparati al risultato negativo".

È venuto meno il rispetto del ruolo degli insegnanti? "I genitori si sentono esperti di didattica, quando è molto complessa e difficile: vanno a dare giudizi su metodi di cui non hanno le competenze".

Genitori-tuttologi? "È la nuova moda. E invece è la scuola a doversi interrogare sui metodi e sulla valutazione. Non deve diventare sempre più rigida per “difendersi“. Bisogna avere il coraggio di mettere in discussione un sistema che è diventato mal funzionante. Anche quest’anno nel mese di maggio c’è stato un affollamento di verifiche e interrogazioni tutti i giorni e non funziona, crea ansia e conflitto. Con persone che vanno in tribunale quando basterebbe gestirlo in modo diverso. Gli insegnanti devono spiegare alle famiglie la valutazione ed essere tra loro uniti, coesi. Altrimenti appena c’è una crepa alcuni genitori la usano a proprio vantaggio".

E c’è chi fa ricorso con sette materie insufficienti su 9. "Sì, e anche nonostante un piano condiviso a gennaio. Ma vedo ancora il voto zero e -2. Che non ha senso nel piano educativo e crea solo risentimenti, rabbia e incomprensioni. Siamo troppo legati ai voti, a questo spauracchio: 4, 7 o 9 sono solo la parte finale di un processo e quella meno importante".

E i ragazzi? "Sono i grandi assenti nel dibattito. Ma perché nella rissa tra adulti non vengono ascoltati. Cosa pensano della scuola? Delle interrogazioni? Come si sentono valutati? Abbiamo appena pubblicato una ricerca, “Educazione bene comune“, che mi ha colpito molto. Quando vanno male a scuola o incontrano un brutto voto la cosa peggiore per loro non è il rapporto con gli insegnanti o con i genitori, come ci aspetteremmo. Ma con i compagni. Si vergognano davanti a loro. È una cosa su cui bisogna riflettere. Ai tempi nostri non succedeva: i compagni ti capiscono".

Come se lo spiega? "C’è questa iper-competitività spalmata ovunque. Devo prendere 7 perché Giovanni ha preso 6. Ma non è la finale dei 100 metri. Un tempo la competizione tra adolescenti era su altro".

C’è competitività anche tra genitori sui voti: pure questo fomenta i ricorsi? "Sì, devono prendere il voto più alto dei vicini. E invece dovrebbero lavorare sul fatto che i ragazzi si aiutino a vicenda. Formare una comunità attenuerebbe i conflitti".

Più che fare i difensori dei figli a priori... "C’è una logica di iperprotettività in questo: per proteggere mio figlio faccio l’esperienza al posto suo. Mentre il vero ruolo dei genitori è quello di permettere al ragazzo anche di sbagliare per poi aiutarlo a trovare una soluzione per uscirne".

Lo si vede pure in università? "Altroché. È pieno di genitori che vengono a protestare perché il figlio ha preso un brutto voto o che scelgono il percorso al posto suo: oltre a essere deleterio, non lo mette al riparo degli errori. Bisogna dare ai figli la forza di affrontare la situazione negativa. Invece è più facile davanti a un brutto voto o passare alla punizione o dare colpa agli insegnanti ’stupidi’, senza domandarsi come mai lo si è preso, cosa si può fare. Farsi domande e ascoltarli dà la possibilità di trovare soluzioni. Il 4 non è un giudizio sul ragazzo ma un ostacolo da affrontare, senza drammatizzare, senza trovare le colpe negli altri, altrimenti non si cresce".

 

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