GIULIA BONEZZI
Cronaca

Due Milano pro Palestina. Ovadia e Lilin al Castello. Quattromila in periferia

Il quinto corteo sfila da Lotto a Maciachini: "Tutti i popoli sono con noi". L’intellettuale ebreo: "Processare Netanyahu con Biden e von der Leyen".

Due Milano pro Palestina. Ovadia e Lilin al Castello. Quattromila in periferia

Due Milano pro Palestina. Ovadia e Lilin al Castello. Quattromila in periferia

Qualche centinaio fermi in centro e quattromila in periferia, a sfilare per cinque chilometri, in gran parte di cavalcavia, da piazzale Lotto a piazzale Maciachini: ieri pomeriggio due volti della Milano pro-Palestina si sono pesati e specchiati. Alle 15.15, il quinto corteo in sei settimane (la pausa il 28 ottobre era per la trasferta a Roma) sta per partire. Due uomini pregano rivolti alla Mecca, inginocchiati su una bandiera palestinese, mentre tra i non arabofoni si stappano le prime Moretti. Le casse sparano “Bella ciao”, che farà presto spazio a pezzi in arabo, canti di lotta che fanno piangere donne col capo coperto, prima del finale con freestyle.

Il corteo s’avvia verso piazza Stuparich, dove lo Spazio di mutuo soccorso (palazzo d’occupazione decennale) l’accoglie con un megastriscione che dice, in inglese, "Cessate il fuoco adesso". Non prima che dal camioncino di testa passi "un messaggio chiaro a nome del corteo" nel "43 esimo giorno di genocidio contro la popolazione a Gaza. Non siamo antisemiti", e non solo perché "noi palestinesi arabi siamo semiti"; "siamo antisionisti" e "i sionisti chi sono?" "Israele!", risponde la folla. "Ci sono sionisti arabi, musulmani, cristiani, ebrei - devia lo speaker -. Noi non siamo contro gli ebrei, sono benvenuti ai nostri cortei i cittadini ebrei che condannano il massacro dei palestinesi. Siamo per una pace giusta, che restituisca ai palestinesi i loro diritti. 75 anni di occupazione!". I destinatari sono "i giornalisti italiani", accusati ("avvoltoi, sciacalli", "complici del genocidio a Gaza") per aver riferito dell’occasionale presenza, nei cortei precedenti, d’un coro a tema caccia agli ebrei, di un cartello pro-Hamas o di uno spericolato paragone – peraltro fischiato – tra l’organizzazione fondamentalista che controlla Gaza, responsabile del massacro di ebrei del 7 ottobre, e i partigiani che hanno combattuto i nazifascisti. Il consiglio ai manifestanti è di non farsi intervistare "se non avete cose intelligenti da dire" e di affidarsi "ai nostri social" per la narrazione che, come su tutti i fronti di tutte le guerre, pialla una realtà complessa sulla propria posizione. E dunque i palestinesi sarebbero i soli a volere la pace, la strage vera di civili provocata dall’attacco israeliano su Gaza ("Dodicimila morti di cui cinquemila bambini, 200 medici e sanitari, 51 giornalisti", sono i numeri di Hamas ma non ne circolano altri ufficiali) vale ormai come "43 Sette Ottobre", e sarebbero comunque "menzogne i bambini decapitati e le donne stuprate" da Hamas (quasi innominabile).

Il corteo, popolato di anziani, famiglie, bambini, come tutte le altre volte è pacifico; alla fine vengono pure ringraziate le forze dell’ordine. L’Occidente rimane "l’invasore", ma vale per i governi e i politici "da destra e da sinistra", mentre "i popoli" che li hanno votati - quello italiano, definito "mammone", ma anche quello "americano", ad esempio –, "stanno con i palestinesi". Una narrazione meno anti-occidentale di quella che passa nelle stesse ore in piazza Castello, all’evento pro-Palestina organizzato da Democrazia sovrana e popolare dell’ex deputato comunista Marco Rizzo, ora in un cantiere rossobruno con l’ex missino Gianni Alemanno.

L’intellettuale ebreo Moni Ovadia accusa l’Occidente di essere "totalmente complice dell’oppressione" dei palestinesi e auspica che il premier israeliano Benjamin Netanyahu sia "portato in tribunale per crimini contro l’umanità, e con lui Joe Biden e la von der Leyen". Sul palco anche Nicolai Lilin, nato in Unione sovietica, naturalizzato italiano e qui divenuto scrittore benché si viva "sotto un sistema oppressivo di informazione, in una dittatura terrificante": così arringa alcune centinaia di persone tra cui spuntano, oltre alle bandiere della Palestina, quelle della Russia da quasi un quarto di secolo sotto il tallone di Putin.