Adesso c’è anche un test specifico per diagnosticare rapidamente la febbre Oropouche che ha fatto la sua comparsa ufficiale in Europa appena un mese fa, diagnosticata a un 25 enne reduce da un viaggio a Cuba all’Irccs Don Calabria di Negrar, in provincia di Verona. A mettere a punto il test è stata l’unità Bioemergenze dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano, guidata dalla professoressa Maria Rita Gismondo (nella foto). Che ha anche diagnosticato i primi due casi di Oropouche in Lombardia, anch’essi “d’importazione” perché si tratta di pazienti appena rientrati dal Brasile e da Cuba, le cui condizioni non sono preoccupanti. Salgono così a quattro i casi di Oropouche diagnosticati in Italia (il secondo era un altro viaggiatore di ritorno da Cuba, curato a Forlì), ma non cambia il profilo di rischio rappresentato da questo arbovirus, scoperto nel 1955 a Trinidad e Tobago e diffuso in Sud e Centro America. Perché al di là dei sintomi – febbre alta, dolori articolari e muscolari, rash cutaneo –, simili a quelli di altre malattie virali tropicali che si trasmettono attraverso un insetto vettore come la Dengue, a differenza di quest’ultima la Oropouche non ha al momento, in Italia e in Europa, un mezzo per passare da un essere umano all’altro (e il contagio diretto non è mai stato riscontrato).
Il moscerino tropicale che trasporta il virus Oropouche, il Culicoides Paranensis, non è infatti mai stato individuato nel nostro continente, hanno ricordato gli esperti dell’Istituto superiore di sanità, e lo stesso vale per altri insetti (come le zanzare Culex Quinquefasciatus e Aedes Aegypti) indicati in letteratura come possibili vettori secondari dell’Orov, che non risultano presenti in Italia. La sorveglianza dei casi d’importazione, tuttavia, è fondamentale "per monitorare la diffusione del virus - ricorda la professoressa Gismondo –. La diagnosi attualmente è appannaggio dei centri di riferimento come il nostro, e si basa principalmente su tecniche molecolari home-made".
Giulia Bonezzi