Don Giovanni abita la Londra di Soho, fa il dj e ragiona di libertà

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È uno di quei luoghi che aprono immediatamente la porta ai ricordi, alle canzoni, ai modi di vestire: Soho, il quartiere punk di Londra. Quando la città non era ancora ipergentrificata e nelle stradine del centro c’era spazio per le controculture. Che fossero rappresentate da una minigonna, una cresta ai capelli, un giro d’accordi. Altri tempi. Anche se un retrogusto rimane ancora oggi, fra le boutique dei grandi brand internazionali. E certo ha ispirato "Don Juan in Soho" di Patrick Marber, già autore del fortunatissimo "Closer". Lo si vede in Sala Shakespeare dell’Elfo Puccini, per la regia di Gabriele Russo. Che molto ha voluto lavorare su questo testo del 2006, piccolo tassello di una certa tradizione anglosassone che si diverte a trasferire i classici nelle metropoli della contemporaneità. Si pensi solo "Alla greca" di Berkoff. In questo caso è però toccato a Molière. E così Don Giovanni si è trasformato in un dj, immerso nella vita notturna del quartiere londinese. Circondato da una varia umanità composta da escort, arrivisti, radical chic e una Elvira militante ecologista. "Don Giovanni è un emblema di ciò che è inaccettabile – sottolinea Russo –, c’è però una radicalità nuova nel suo personaggio: quella di non recitare un ruolo, ma di esserlo. Allo stesso modo diventano radicali e corrispondenti al presente le domande che porta con sé questo suo specifico modo di agire: fino a che punto sono disposto a sacrificare le mie libertà? E quanto costa agli altri il diritto di vivere come mi pare?". Insomma: si ragiona sulla libertà. Sui suoi confini. Qui lasciandosi accompagnare da un bel cast corale guidato da Daniele Russo. Per inseguire desideri e follie di un antieroe fascinoso e dalla morale ambigua. Destinato a fare i conti con il mondo. E con i propri demoni.

Diego Vincenti

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