Diana Pifferi morta di fame e sete, guerra di perizie: l’indagine si allunga

Alessia Pifferi, 36 anni, si trova in carcere con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato. La difesa ha chiesto un incidente probatorio sulle analisi sul latte per trovare tracce di benzodiazepine

La piccola Diana Pifferi e la casa di via Parea dov'è stata lasciata morire di stenti

La piccola Diana Pifferi e la casa di via Parea dov'è stata lasciata morire di stenti

Sarà una guerra di perizie ad allungare le indagini sulla morte della piccola Diana, 18 mesi, lasciata morire di stenti, come ha confermato l’autopsia, dalla sua mamma Alessia Pifferi, 36 anni, in carcere con l’accusa di omicidio volontario pluriaggaravato. Ieri era il giorno in cui avrebbero dovuto essere resi noti i risultati delle analisi che rilevavano la presenza di benzodiazepine nel biberon di Diana. Ma, dopo essere stati anticipati gli esami da parte del pm Francesco De Tommasi (erano inizialmente previsti per domani) allo scopo di chiudere in fretta questa storiaccia nera e definire le responsabilità di Alessia, sono state di nuovo rinviate.

Lo stato delle indagini

I difensori della Pifferi, Solange Marchignoli e Luca D’Auria, hanno infatti promosso riserva di incidente probatorio. Ora la parola passa al gip, che dovrà convocare le parti, riformulare il quesito e nominare un suo perito, mentre accusa e difesa dovranno nominare i rispettivi consulenti. Il sostituto procuratore Maria Cardellicchio, per conto del titolare dell’indagine, il sostituto procuratore Francesco De Tommasi, ha quindi disposto lo stop agli accertamenti e inviato gli atti al gip. La squadra Mobile, sempre su disposizione del pm Cardellicchio, dovrà provvedere "alla conservazione dei reperti da esaminare con le necessarie cautele ai fini di assicurarne l’integrità". "Il pm - ha spiegato la Marchignoli - aveva formulato una richiesta molto generica di “accertamenti chimici forensi”. Noi, come è nostro diritto, abbiamo opposto una riserva perché ci sia data la possibilità di nominare i nostri esperti e anche perché venga formulato un migliore e più preciso quesito". Le conseguenze di questo provvedimento, se da un lato segnano un punto a favore della difesa, dall’altro allungheranno le indagini, anticipando un po’ la linea difensiva generale che punterà tantissimo sulle superconsulenze. Le nomine dei periti non verranno fatte prima della prossima settimana e solo dopo si svolgeranno gli esami.

Le aggravanti

Se il risultato dell’analisi dovesse dimostrare che nel latte c’era benzodiazepine si aggraverebbe molto la posizione della mamma che continua, fino ad oggi, a ripetere di non avere mai drogato la bimba. Il sospetto degli inquirenti, invece, è che per non farla piangere, prima di uscire di casa e lasciarla sola, la mamma le somministrasse la droga dello stupro per sedarla. Dosi di calmanti che avrebbero tenuto la piccola Diana in stato di intorpidimento. Nella fattispecie che l’ha portata alla morte la piccola, in casa da sola per una settimana, non sarebbe stata in grado di chiedere aiuto, anche solo di piangere e urlare, allarmando il vicinato.

Le perizie

La difesa ha già nominato due esperti per una consulenza "neuroscientifica e psichiatrica" sulla donna. Per la Procura, invece, non c’è necessità di analisi di questo genere, perché la Pifferi sarebbe stata lucida nella sua volontà e ne ha spiegato anche le ragioni davanti al gip Fabrizio Filice: per lei la figlia era un "peso" che la ostacolava nella vita e nel suo "futuro" con il compagno. L’incarico per la consulenza difensiva è stato dato ai professori Giuseppe Sartori e Pietro Pietrini, che si sono occupati di parecchi casi di omicidi, tra cui la strage di Erba. "A breve comincerà un lavoro - hanno spiegato i difensori - per capire il percorso mentale che ha potuto portare a un fatto così tragico".

Analisi sui telefoni

Prosegue anche l’esame del contenuto del telefono della Pifferi per ricostruire le sue relazioni ed individuare il padre biologico di Diana. "Non so chi sia", ha messo a verbale la donna, che nell’interrogatorio di convalida davanti al gip non si è mai avvalsa della facoltà di non rispondere, ma ha confessato anche il movente. Gli inquirenti stanno cercando di identificare tutte le persone che hanno avuto in qualche modo a che fare con la donna, per ricostruire un quadro il più attendibile possibile di quanto è successo e anche per incrociare le dichiarazioni.

Di cosa risponde oggi la mamma di Diana

La Pifferi è in carcere a San Vittore con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato. In cella è in regime di sorveglianza rafforzata per evitare il tentativo di suicidio. Le aggravati sono i futili motivi, il legame parentale e la minore età della vittima. Quasi sicuramente non avrà l’aggravante della crudeltà perché in senso giuridico per crudeltà si intende un comportamento attivo, mentre l’abbandono non lo è. Determinante sarà l’esito della perizia di parte perché i legali cercheranno di puntare sull’incapacità di intendere e di volere della madre.  Il reato, soprattutto se si aggiungerà l’aggravante della premeditazione, è da ergastolo. Poi sarà una guerra di perizie a determinare la reale quantità della pena.

La madre assassina

Alessia Pifferi in carcere non ha mai mostrato pentimento. Nell’interrogatorio di garanzia aveva raccontato che voleva intensamente consolidare il rapporto con l’uomo che aveva appena conosciuto, elettricista di Leffe, nella bergamasca. E per quell’obiettivo aveva sacrificato la vita piccola Diana, correndo il rischio che la bimba potesse morire.

mail: anna.giorgi@ilgiorno.net

 

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