Diana Pifferi, la bimba morta di stenti. Gli esami su latte e acqua: "Non è stata drogata"

Depositati i risultati degli accertamenti: trovati solo resti di paracetamolo. La difesa della madre, Alessia Pifferi, accusata di omicidio pluriaggravato: "Cade l'ipotesi di una premeditazione"

Milano, 25 gennaio 2023 - Nessuna traccia di benzodiazepine nel latte contenuto nel biberon trovato accanto al corpo della piccola Diana Pifferi, la bimba lasciata morire di stenti dalla mamma Alessia, la 37enne ora in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Gli esiti della perizia di parte confermano che neppure nell’acqua contenuta nella bottiglietta trovata nel letto di fortuna in cui era stesa la piccola, sono state trovate "tracce riconducibili a sostanze di interesse tossicologico". La relazione rileva solo "modica quantità di paracetamolo nei residui organici". La perizia, effettuata con la formula dell’incidente probatorio era avvenuta su richiesta dei difensori Solange Marchignoli e Luca D’Auria, ed era stata disposta dal gip di Milano Fabrizio Filice. Non ci sono, quindi, tracce di tranquillanti, salvo ovviamente la presenza di una boccetta di En sul comodino del lettino da campeggio in cui era riverso il corpo di Diana.

Dagli esiti della consulenza medico-legale, disposta dalla Procura, e in particolare dall’esame del capello, erano emerse, invece, tracce di benzodiazepine che avevano fatto ritenere che la bimba fosse stata drogata, indotta dai farmaci in un sorta di torpore, per evitare che piangesse, chiedesse aiuto ai vicini. La trentasettenne, in carcere da luglio, aveva sempre negato – attraverso i suoi avvocati – di aver fatto ingerire quel genere di sostanze, ansiolitici compresi, alla figlia, dicendo di averle dato solo gocce di paracetamolo che, in effetti, sono state rilevate.

L’autopsia, già depositata nella relazione definitiva, racconta che la piccola è morta di sete, tecnicamente per una gravissima e prolungata disidratazione, aggravata dalle temperature altissime di luglio. Diana era sola, in casa, nel monolocale di via Parea con le finestre chiuse e senza aria condizionata. Nello stomaco non aveva brandelli di cuscino, ma di pannolino, quello stesso che si era tolta e che è stato trovato poco distante dal cadaverino. Diana a 18 mesi non sapeva camminare perché nessuno glielo aveva insegnato, per gli investigatori dunque la bambina non si sarebbe mai alzata dal lettino da campeggio in cui era stata sistemata, avrebbe cercato di sfamarsi mangiando il pannolino e probabilmente fiaccata dalle temperature altissime avrebbe tentato di bere, senza riuscirci del tutto, perché nella bottiglietta di plastica era rimasta acqua e nel biberon c’era latte.

Intanto Alessia Pifferi è uscita dall’isolamento, i medici del carcere per lei hanno chiesto una consulenza psichiatrica urgente. La procura, il pm è Francesco De Tommasi, ha fatto sapere, che subito dopo l’esito dell’incidente probatorio chiederà il giudizio immediato con l’accusa di omicidio aggravato. Il reato è punibile con la pena dell’ergastolo, per la difesa, quindi, non sarà più possibile chiedere l’abbreviato e si andrà direttamente alla discussione in Corte D’Assise. «L’assenza di benzodiazepine nel biberon e nella bottiglietta di acqua dimostra che Alessia è sempre stata genuina nel suo racconto e, sul piano giuridico, che la premeditazione manca di elementi concreti, posto che sarebbe stato l’avvelenamento della piccola Diana», dicono gli avvocati di Alessia Pifferi, Solange Marchignoli e Luca D’Auria. Inizialmente la Procura aveva anche contestato la premeditazione tra le aggravanti, ma poi il gip l’aveva esclusa nell’ordinanza cautelare.

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