Loggia Ungheria, Davigo chiede un'udienza preliminare a porte aperte

L'ex consigliere del Csm e il pm di Milano Paolo Storari sono pronti a farsi interrogare in aula

Piercamillo Davigo

Piercamillo Davigo

Milano - Potrebbe essere a porte aperte e quindi pubblica l'udienza preliminare che comincerà domani a Brescia in cui sono imputati per rivelazione del segreto d'ufficio l'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo e il pm di Milano Paolo Storari per il caso dei verbali di Amara. A chiedere al gup Federica Brugnara la pubblicità dell'udienza, sulla scorta della giurisprudenza Cedu, sarà Davigo con il suo legale, Francesco Borasi. Come è stato riferito, la mossa, quasi inedita, punta a garantire il giusto processo, come sancito dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Sia Davigo che Storari sono pronti a farsi interrogare in aula. 

Alla richiesta, alquanto inedita, di celebrare l'udienza preliminare a porte aperte, anziché in camera di consiglio e quindi senza pubblico, non si dovrebbe opporre nemmeno Storari. Qualora il giudice dovesse accogliere l'istanza, la bufera che la scorsa estate ha investito la magistratura milanese e italiana, e che è nata dalle dichiarazioni di Amara su una presunta loggia Ungheria, avrebbe un carattere di pubblicità maggiore di quanto è accaduto finora.

Inoltre, da quanto è stato riferito, Davigo è pronto a farsi interrogare per ribadire la sua linea: nessun illecito e nessuna violazione del regolamento a cui sono tenuti i componenti del Csm. Anche Storari darà la sua versione dei fatti e spiegherà i motivi per cui nell'aprile di due anni fa consegnò quei verbali a Davigo: voleva essere tutelato in quanto, a suo dire, i vertici della Procura milanese non gli avevano consentito iniziative istruttorie tempestive e adeguate alla gravità delle parole dell'avvocato siciliano.

Poi, a differenza di quanto scrive il gip di Brescia Andrea Gaboardi nel provvedimento con cui ha disposto l'archiviazione nei confronti dell'ex procuratore di Milano Francesco Greco, il pm parlerà delle divergenze con i suoi capi e della necessità di rivolgersi al Consiglio Superiore della Magistratura perché, secondo lui, si volevano ritardare le indagini su Amara per preservarlo come teste-imputato di reato connesso nel processo Eni-Nigeria finito, poi, con l'assoluzione di tutti. Affermazioni, già resa in precedenti interrogatori, che ha documentato anche con una relazione scritta dall'aggiunto Laura Pedio e a lui inoltrata per un parere il 23 aprile 2020. Pedio, accogliendo la richiesta di un paio di settimane prima, avanzata sempre via mail dal difensore di Amara in vista dell'udienza davanti alla Sorveglianza di Roma per ottenere l'affidamento in prova ai servizi sociali, aveva messo nero su bianco che il legale siciliano aveva avuto un "atteggiamento collaborativo" e tagliato i legami con "ambienti criminali e deviati".

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