"Danno erariale al Fatebenefratelli" Ma i pm arrivano in ritardo di 5 anni

Nel mirino la transazione da 300mila euro con gli eredi di una donna morta. Il processo salta per prescrizione

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di Nicola Palma

La richiesta di chiarimenti è arrivata quasi 5 anni dopo la prima comunicazione. Troppo tardi per evitare la scadenza dei termini. Troppo tardi per avere la possibilità di approfondire la vicenda in aula e far emergere eventuali profili di danno erariale. Così il processo a tre ex manager del Fatebenefratelli (e a una dirigente ancora in carica ma con un altro ruolo) è finito con una dichiarazione di prescrizione da parte della Corte dei Conti della Lombardia. La storia inizia il 2 febbraio 2012, quando gli eredi di A.M.P., deceduta il 4 gennaio 2011, inviano una nota all’ospedale per chiedere il risarcimento dei danni: a loro parere, la morte della donna sarebbe stata causata da "un colpevole ritardo dei sanitari nel prestare i primi soccorsi in seguito a un arresto respiratorio".

Il 15 ottobre 2012, a valle di una serie di riunioni del Comitato valutazione sinistri e del processo decisionale sulle "soluzioni ritenute maggiormente idonee alla salvaguardia del bilancio dell’ente", i vertici del centro clinico di piazzale Principessa Clotilde e i parenti di A.M.P. siglano un atto di transazione per 300mila euro (poi versati in due tranche da 150mila euro il 19 ottobre 2012 e il 22 gennaio 2013), somma "da intendersi quale integrale e definitivo risarcimento di tutti i danni subìti, accessori e spese, anche di patrocinio, diretti e indiretti, presenti e futuri, conosciuti e non, alle cose e alle persone". Fuori dal legalese: l’accordo mette una pietra tombale su qualsiasi ulteriore pretesa da ambo le parti. Il 20 febbraio 2013, come da prassi, l’Unità operativa Affari generali e legali dell’azienda ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano (oggi Asst Fatebenefratelli Sacco) comunica l’esborso alla Procura regionale della Corte dei Conti. Finita? No, perché il 24 novembre 2017, cioè 4 anni e 9 mesi dopo, i pm inviano una prima richiesta istruttoria (ne seguiranno altre tre tra il 12 novembre 2019 e il 15 gennaio 2020) all’ospedale, chiedendo l’invio della documentazione relativa a quella pratica: dall’istanza presentata dai familiari della donna ai verbali delle riunioni del Comitato valutazione sinistri, fino al report dettagliato su quanto accaduto il 4 gennaio 2011. Esaminati gli atti, la Procura ravvisa "l’illegittimità della transazione sottoscritta dal Fatebenefratelli, a fronte di una ritenuta assai dubbia responsabilità dei sanitari che sarebbe stata determinata anche in seguito a un’inescusabile sommaria istruttoria". Detto altrimenti: l’ospedale avrebbe pagato per un caso di malasanità che in realtà non si sarebbe mai verificato. Conclusione: i pm decidono di chiedere conto di quei 300mila euro, in quattro parti uguali da 75mila euro, a chi all’epoca ricopriva gli incarichi di direttore generale (Giovanni Michiara), direttore sanitario (Francesco Reitano), direttore amministrativo (Michele Brait) e responsabile degli affari legali (Carmela Uliano).

All’udienza del primo dicembre scorso, gli avvocati degli imputati hanno invocato la prescrizione per il risarcimento del danno, visto che l’invito a dedurre inviato dai magistrati ai loro assistiti è arrivato ben oltre i 5 anni trascorsi dal giorno in cui l’ospedale ha fatto sapere di aver firmato quell’accordo. Di contro, la Procura ha ribattuto che "la fattispecie dannosa oggetto di contestazione" non sarebbe stata comunicata "compiutamente" e che la gravità della situazione sarebbe emersa solo dopo "l’approfondimento istruttorio", avviato il 24 novembre 2017. La Corte ha condiviso la linea difensiva, dichiarando la prescrizione. Il motivo: i giudici hanno spiegato che la prima comunicazione del 20 febbraio 2013 era sufficiente per consentire agli investigatori di valutare la regolarità dell’accaduto.

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