
Il Cpr di via Corelli a Milano
Diritti umani, sanitari e legali sistematicamente negati. È quanto emerge dalla ricerca condotta in un anno di intenso e difficilissimo lavoro da Naga e dalla Rete Mai più lager - No ai Cpr“ all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio di via Corelli a Milano. Le condizioni di vita dei “trattenuti“ risultano essere assai peggiori rispetto a quelle riservate ai detenuti, ossia a persone rinchiuse per aver commesso un reato.
Nel caso dei Cpr invece i “trattenuti“ non sono responsabili di nulla, se non dell’“illecito amministrativo“ di risiedere in Italia senza essere in possesso di permesso di soggiorno. Eppure ciò che è garantito da specifici protocolli all’interno del carcere (diritto all’assistenza legale, alle cure, all’igiene, alle visite e telefonate, a trattamenti rispettosi della dignità personale) non vale per queste strutture, affidate a un gestore privato pagato in base al numero dei “trattenuti“.
Gli attivisti che hanno portato avanti lo studio (intitolato non a caso “Al di là di quella porta - Un anno di osservazione dal buco della serratura del Centro di permanenza per il rimpatrio di Milano) denunciano l’assoluto ostruzionismo rispetto alla possibilità di raccolta di dati, di sopralluoghi e accesso agli atti, ottenuta solo attraverso ricorsi legali, in particolare al Tar. "La violazione dei diritti inizia con la visita per stabilire l’“idoneità al trattenimento“ – spiega Teresa Florio del Naga – che dovrebbe avvenire in un ospedale ma quasi sempre si svolge in un ambulatorio della questura o direttamente al Cpr. In questa sede, dove non è presente alcuno strumento diagnostico, viene solo chiesto alla persona se si sente bene.
La seconda visita avviene all’interno del Cpr: qui il “trattenuto“ viene costretto a denudarsi davanti a medici e agenti e spesso a fare flessioni per espellere eventuali oggetti presenti nell’ano. Risulta agli atti che siano state ritenute idonee anche persone affette da gravi patologie fisiche o psichiche". Un uomo cui in ospedale era stato diagnosticato un tumore al cervello fu ricondotto nel Cpr e rilasciato solo dopo l’intervento degli avvocati del Naga: fu abbandonato in strada e dovette trascinarsi in un bar per chiamare un’ambulanza".
Nei Cpr – dove si viene identificati attraverso un numero e non con il nome – viene fatto ampio uso di psicofarmarci per “tenere tranquilli“ i trattenuti. "La quotidianità è fatta di cibo scarso, d’infima qualità e persino infestato dai vermi, moduli abitativi gelidi d’inverno e bollenti d’estate, nessuna attività ricreativa". Mesi o anni trascorsi nel terrore del rimpatrio. "Per far uscire il trattenuto senza che si agiti gli vengono dette bugie e poi viene legato mani e piedi e pesantemente sedato".