GIAMBATTISTA ANASTASIO E NICOLA PALMA
Cronaca

C’è il coronavirus, i mafiosi tutti fuori

Dal caso Sgarella al clan Gionta: la lista dei reclusi ai domiciliari

Dia

Milano, 7 maggio 2020 - Signori della droga , boss della ’ndrangheta, capimafia e trafficanti di uomini. Ecco chi sono i 41 scarcerati dalle carceri lombarde nelle ultime settimane per l’emergenza Covid-19: 38 sono andati agli arresti domiciliari, in tre sono stati affidati in prova ai servizi sociali. Soltanto in 3 casi, la segnalazione – al Tribunale di Sorveglianza per condanne definitive, a gip, Tribunali e Corti d’Appello per condanne non passate in giudicato o reclusi ancora in attesa di giudizio – è arrivata dalla direzione degli istituti di pena (Voghera, Busto Arsizio, Opera e Bollate), nei restanti 38 dagli avvocati difensori (22) o dagli stessi detenuti (16).

Nella lista , che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha inviato una settimana fa alla commissione parlamentare Antimafia e che il Giorno ha potuto consultare, ci sono nomi di spicco della criminalità organizzata: alcuni sono legati al territorio milanese e lombardo, altri invece hanno sviluppato la loro attività criminale nelle rispettive Regioni di provenienza e sono stati poi trasferiti nei penitenziari del Nord per scontare le loro pene, nella maggior parte dei casi elevatissime. A destinare particolare scalpore, ieri, è stato il nome di Cataldo Franco, ottacinquenne condannato per aver avuto un ruolo nel sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino, rapito nel novembre del 1993 su ordine dei boss corleonesi: l’uomo è tornato nella sua abitazione di Geraci Siculo, in provincia di Palermo. L’uomo, originario di Gangi, ha ottenuto la detenzione domiciliare per il rischio coronavirus a fine aprile. Secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbe messo a disposizione un capanno in cui venne nascosto il piccolo Di Matteo, che poi venne spostato in un altro luogo. "Tutti coloro che hanno partecipato, in qualsiasi modo, al sequestro di mio figlio devono rimanere in carcere a vita, perché la mia sofferenza per la morte del piccolo Giuseppe non avrà mai fine, quindi la sofferenza degli altri non deve avere mai fine", l’amaro sfogo, attraverso il suo legale Monica Genovese, di Franca Castellese, madre del bambino.

Altro nome di rilievo è quello di Domenico Perre, 64 anni, uno dei responsabili del sequestro dell’imprenditrice Alessandra Sgarella, rapita l’11 dicembre 1997 in viale Caprilli, portata in un covo a Buccinasco e liberata nove mesi dopo nella Locride. In cella da più di 20 anni, Perre ha ottenuto il regime alternativo a Platì, in provincia di Reggio Calabria. L’uomo fu arrestato due anni dopo i fatti in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Guido Salvini su richiesta dei pm Alberto Nobili e Alfredo Robledo: insieme a lui finirono in manette i complici Saverio Garreffa, Francesco Giorgi, Domenico Grillo e Antonio e Francesco Strangio. Erano loro, stabilirono poi le sentenze, i componenti del secondo gruppo di sequestratori, che prese in carico l’ostaggio dagli esponenti del clan Lumbaca. All’epoca, le prove decisive per inchiodare i colpevoli furono raccolte grazie alle cimici piazzate dagli investigatori proprio a casa Perre.

Da Vigevano , invece, sono state scarcerate e messe ai domiciliari due donne. Carmela Gionta, sorella del boss di Torre Annunziata Valentino (condannato per associazione camorristica, traffico di droga e duplice omicidio ma assolto dall’accusa di aver ordinato l’assassinio del giornalista del Mattino Giancarlo Siani), è uscita il 9 aprile: fu fermata dai carabinieri nel luglio del 2015 perché gestiva per conto del clan un giro di usura con tassi del 120%. Maria Rosa Di Dio, invece, è tornata a casa undici giorni dopo: meglio nota come la "Mantide di Gela", nel giugno del 1992, in piena guerra di mafia, attirò in una trappola mortale il presunto stiddaro Agostino Reina, che pensava di passare una notte d’amore in un casolare e si ritrovò davanti i suoi carnefici.