"Con loro devi usare metodi tribali Io sono il maschio dominante..."

Il “sistema d’Alcontres“ nelle conversazioni intercettate: policy del terrore e buste paga creative.

Migration

di Andrea Gianni

"Gli devi dire “state tranquilli che se non lo fate voi questo lavoro troviamo altre persone“. Il primo che rompe i c...lo mandi subito a casa, non lo fare parlare perché se lui inizia a parlare anche gli altri sentono". Guglielmo Stagno d’Alcontres, 32enne dalle nobili origini fondatore della StraBerry, istruiva così Ousmane Lage Sacko, sorvegliante guineano dei migranti sfruttati nell’azienda agricola che a Cassina de’ Pecchi ha realizzato serre fotovoltaiche per coltivare fragole, mirtilli, lamponi e more, vendute anche sulle strade di Milano su banchetti-Apecar. Un progetto, premiato anche da Coldiretti, che però dietro la facciata nascondeva illeciti emersi dall’inchiesta della Gdf coordinata dal pm Gianfranco Gallo, nella quale sono indagati d’Alcontres, soprannominato dei braccianti il "Capo grande", e sei dipendenti. Nell’azienda, ora commissariata, secondo le accuse braccianti extracomunitari venivano pagati 4.50 euro all’ora, sottoposti alla punizione del "ban lavorativo", pausa forzata e non retribuita, quando osavano chiedere il rispetto dei loro diritti.

"Sin dalle primissime conversazioni intercettate è emersa la sconcertante linea di policy aziendale di Stagno d’Alcontres improntata sull’instaurazione di un vero e proprio regime del terrore imperniato su un controllo pressante dell’operato dei lavoratori di origine africana", annota il pm Gallo nella richiesta di sequestro preventivo dell’azienda, convalidata dal gip Roberto Crepaldi. I migranti era sottoposti "ad arbitrarie imposizioni finalizzate alla massimizzazione della produzione nonché ad altrettante degradanti ritorsioni, improntate sul famigerato detto latino “unum castigabis, centum emendabis“". Punirne uno per educarne cento. "Non devi buttarne fuori venti – spiegava al “Capo piccolo“ Enrico Fadini, anche lui indagato – ma uno alla volta. Uno che non ti ascolta lo prendi e lo porti in ufficio e va a casa una settimana. Il primo che rompe i c...va a casa, vediamo se gli altri non stanno attenti". D’Alcontres si vantava, in un’altra conversazione intercettata, dei suoi "metodi coercitivi" per soffocare ogni rivendicazione: "Con loro devi lavorare in maniera tribale, come lavorano loro. Tu devi fare il maschio dominante, io con loro sono il maschio dominante!". "Stamattina – racconta al suo interlocutore – appena ho visto uno che parlava dopo un secondo l’ho mandato a casa, non è che gli ho dato una seconda possibilità. Appena vedo uno con il cellulare io lo mando a casa, è il terrore di rispettare le regole". L’azienda poteva contare su un bacino enorme di migranti in cerca di lavoro, in gran parte ospiti dei centri d’accoglienza, disposti ad accettare paghe da fame e turni di lavoro che arrivavano fino a 12 ore al giorno, senza riposi settimanali. Ogni bracciante doveva raccogliere almeno 25 cassette di frutta al giorno, il minimo consentito. Chi non riusciva a stare al passo veniva lasciato a casa. "Non hai finito il tuo lavoro – sbraitava d’Alcontres contro uno degli operai – non venire a lavorare domani per favore". Enrico Fadini si rivolgeva così a uno dei lavoratori: "Adesso tu riposi, dopo luglio sono dieci, dodici ore. Riposa adesso e facciamo più ore a luglio, però a luglio non voglio sentire “Mio orario è finito“. Lavora chi lavora tanto, chi lavora bene, chi lavora veloce. Chi lavora piano, chi va via alle sei (...) non lavora". E il "ban lavorativo" scattava per chi osava chiedere il rispetto dei propri diritti, o anche solo allontanarsi per pochi minuti dai campi per bere a una fontanella, violare il divieto di parlare durante il lavoro.

Uno sfruttamento nascosto, annota il pm, da "buste paga creative" per far risultare meno ore lavorate rispetto a quelle effettivamente svolte. "Lui da contratto dovrebbe fare sei ore e mezza – affermava d’Alcontres – in realtà fanno nove ore". A squarciare il velo sugli sono stati i lavoratori (alcuni si sono anche rivolti ai sindacati) ma anche un ex stagista, ascoltato dagli inquirenti. "Non ci sono docce, bagni o lavandini – si legge nella testimonianza agli atti dell’inchiesta – per lavarsi c’è una gomma dell’acqua fuori dal magazzino (...) gli operai consumano il pasto dove capita".

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