
I volontari della Chiesa Metodista in un sottopasso della Stazione Centrale di Milano
Milano – "Non camminare davanti a me, potrei non seguirti. Non camminare dietro di me, potrei non guidarti. Cammina semplicemente accanto a me e sii mio amico". Una delle più belle frasi mai scritte sull’amicizia, porta la firma dello scrittore francese Albert Camus. E che altro cercano, i “fantasmi” delle nostre città, se non un gesto d’amicizia? È quello che devono aver pensato alla Chiesa Metodista di Milano, quando il 18 gennaio 2016 lanciarono il progetto “Breakfast Time – Colazione ai senzatetto”.
Milano è fra le città d’Italia col maggior numero di servizi e iniziative per i clochard, e un piatto caldo, anche se non si hanno soldi, si riesce sempre ad avere, fra mense religiose e iniziative laiche. Ma questo progetto, quest’idea va oltre. Non è solo un modo per distribuire la colazione di domenica a quelli che spesso nessuno nota, o al massimo guarda distrattamente e con un po’ di fastidio. È un gesto, una parola, un momento di umana solidarietà.
"Breakfast Time - sintetizza l’iniziativa la pastora Sophie Langeneck - è una delle azioni sociali che la Chiesa Metodista di Milano porta avanti con il sostegno di molti volontari di altre chiese, o del quartiere, e un finanziamento dell’8xmille della Chiesa valdese, per lottare concretamente contro l’ingiustizia e la povertà, in questo caso degli ultimi della nostra città, per rispondere all’invito di John Wesley, il fondatore della chiesa metodista a Oxford, a dare concretezza all’amore di Dio. John Wesley ha detto: ’Fai tutto il bene che puoi, con tutti i mezzi che puoi, in tutti i modi che puoi, in tutti i luoghi che puoi, a tutta la gente che puoi, per tutto il tempo che puoi’".
Un’azione caritatevole che coinvolge circa 40 volontari, coordinati dal togolese Kokou Senavon. Oltre 20mila pasti distribuiti Ogni domenica dalle 7 alle 9,30 un piccolo gruppo di volontari distribuisce gratuitamente un pasto leggero ai senzatetto della zona Isola/Garibaldi/Gioia. Cinquanta pasti che nel tempo sono diventati ormai oltre 20mila, distribuiti in un percorso di circa 5 km, a ridosso di alcuni dei palazzi più belli e sfarzosi di Milano, nella solita dicotomia urbana di grattacieli e giacigli, domotica e cartoni. Ma oltre ai pasti e ai sorrisi, i volontari distribuiscono anche coperte, giacche, prodotti per l’igiene personale, lamette, assorbenti, e tutto ciò che a noi sembra scontato e che per un clochard è un dono, un momento nel quale prendersi cura di sé, sentirsi ancora una persona.
"Negli ultimi tempi – segnala la pastora - abbiamo ridotto il numero di colazioni che prepariamo perché dall’entrata in vigore del decreto sicurezza, con l’individuazione della stazione Centrale come zona rossa, molti senza tetto si sono dovuti spostare in altre zone della città". Ciò nonostante i bisognosi non mancano. Secondo le ultime stime del comune di Milano, sono oltre tremila le persone che vivono senza una dimora fissa, e di queste almeno mille vivono stabilmente per strada. Nel tempo l’offerta è variata, venendo incontro il più possibile alle diverse nazionalità e religioni. Esclusi i salumi, si propongono o cappuccino o tè, poi qualcosa di dolce, della frutta e una proteina come l’uovo sodo, solitamente accettato da tutti.
Anche tra i volontari ci sono persone da diversi Paesi, sia asiatici che sudamericani. Non prendono parte al servizio solo protestanti ma anche laici o cattolici, e tutto ciò rafforza il senso della carità che accomuna diverse culture e sensibilità. Alla base vi è comunque il contatto umano: alcuni clochard conoscono i volontari per nome, e viceversa. Una relazione che nel tempo si fortifica, e rende i “fantasmi” un po’ meno soli. Volontari “collanti” fra clochard e istituzioni. C’è anche un altro tema legato al progetto, quello dei minori. È infatti capitato più volte ai volontari di incontrare dei bambini, e in quei casi si è provato ad informare le famiglie, a tradurre quando possibile nella loro lingua, i diritti di accoglienza che hanno. La barriera linguistica o la paura di essere espulsi spesso fa sì che queste persone restino per strada, non accedendo a servizi che pure sono pensati per loro. In quei casi i volontari provano a fare da collante fra clochard e istituzioni.
Ma al di là di qualche episodio di paura e diffidenza da parte dei senzatetto, che forse per vergogna hanno a volte rifiutato la colazione, fanno da contraltare molti episodi davvero belli. Di uno ci parla direttamente la pastora: "Era la mattina di Natale, un senzatetto mi chiese di fare una telefonata a sua madre. La richiesta mi spiazzò, anche perché lui non era giovanissimo, e inoltre non conoscevo la sua nazionalità, non sapevo nemmeno dove si trovasse sua madre. Istintivamente gli diedi il mio cellulare. Lui chiamò, parlò con sua madre, mi ringraziò, e nel ridarmi il cellulare mi disse una frase che mi toccò molto: ‘Adesso è Natale anche per me’".