Arnaldo Liguori
Arnaldo Liguori
Cronaca

Milano, il 31 luglio chiude il cinema Odeon: sipario sull’era gloriosa del grande schermo

La storia del multisala iniziata nel 1929 lascerà spazio ad un altro centro commerciale. Ennesimo sintomo della crisi che accompagna ormai la settima arte

La sala principale del cinema Odeon, sopra lo schermo la scritta (qui non visibile) "Ex taenebris vita", "Dalle tenebre la vita"

La sala principale del cinema Odeon, sopra lo schermo la scritta (qui non visibile) "Ex taenebris vita", "Dalle tenebre la vita"

Si respira un senso di profonda tristezza e tempo perduto tra le sale del cinema Odeon di Milano. Le porte di legno in art déco che hanno visto il passaggio di decine di generazioni milanesi abbigliate nelle più diverse fogge – dagli eleganti cilindri degli anni Venti ai capelli impomatati degli anni Ottanta – chiuderanno i battenti il 31 luglio. I marmi pregiati dello storico edificio e le sue poltrone in velluto non accoglieranno più baci rubati, sguardi stupefatti o sospiri di desiderio. Questo luogo, che ha ospitato in carne e ossa alcune delle maggiori star del 21° Secolo, farà spazio ad un altro centro commerciale.

Chiude, dunque, un altro cinema a Milano. Quando l’Odeon aprì, il 26 novembre del 1929, c’erano una trentina di sale soltanto nella zona del Duomo: adesso se ne contano appena una ventina in tutta la città. Ciò che non sono riusciti a fare le guerre, le crisi economiche e l’avvento della televisione, l’ha fatto la pandemia: da tre anni di distanziamento sociale – sacrosanto, beninteso – il settore non si è più ripreso. A Milano non sono bastati i mercoledì di sconto e le offerte per studenti.

Nell’arco di un secolo, il prezzo dei biglietti è passato dalle 4 lire del periodo fascista, agli 11-15 euro di oggi. Tutto, nel frattempo, è cambiato. Le forme di intrattenimento sono migrate verso una fruizione domestica e, mentre Hollywood ancora dibatte se il cinema possa “nascere” per un formato con quello degli smartphone, le piattaforme di streaming si dividono un fatturato di oltre 60 miliardi di euro. Alle sale restano, sempre più spesso, le briciole. Non è chiaro, la momento, il destino dei lavoratori del multisala: sono in corso trattative per il loro ricollocamento.

Intanto, dal 31 luglio le pellicole e i sogni di meraviglia lasceranno spazio a scarpe, vestiti e prodotti commerciali. Questo è il destino di un palazzo storico che fu, e rimane, un capolavoro. Progettato dagli architetti Giuseppe Laveni e Aldo Avati, è pervaso da una monumentalità immortale. Sotto i suoi sette altissimi archi – tanti quante le forme d’arte – sono sfilate signore imbellettate e giovani punk, mentre più in alto, nelle quattro nicchie sopra il primo e il settimo arco, hanno vegliato sul pubblico le quattro statue rappresentanti il Cinema, il Teatro, la Danza e la Musica.

La storia dell’Odeon, iniziata tra sfavillanti luci e roboanti colonne sonore, finisce quasi in punta di piedi, senza fare rumore. Nella sua sala principale, le duemilacinquecento lampadine che per un secolo hanno illuminato i drappi rossi e gli affreschi si spegneranno sull’arte e gli spettatori leggeranno un’ultima volta la scritta che sovrasta lo schermo: “Ex taenebris vita”. Dalle tenebre la vita. Se null’altro è il cinema, non ci resta che l’oscurità.