Caso Bellomo, il dress code "non è reato". La Procura di Milano: inopportuno, ma lecito

Chiesta l’archiviazione

Francesco Bellomo

Francesco Bellomo

Milano, 19 luglio 2019 - Look «da bambola» proposto a un’alunna, perché «mi trovava carina ma con i fianchi da coprire». Telefonate in piena notte, il divieto di intrattenere relazioni con persone con un quoziente intellettivo inferiore a 80. L’esclusione dalla borsa di studio perché «non avevo rispettato il dress code», rigide regole sulla lunghezza della gonna e sull’altezza dei tacchi. Sono alcune delle testimonianze raccolte dagli inquirenti, nell’ambito di un’indagine milanese sui discutibili codici di comportamento per le allieve dei corsi preparatori alla magistratura diretti dall’ex consigliere di Stato Francesco Bellomo. A Milano ci furono atteggiamenti «inconferenti con quelli che sono i normali caratteri di un rapporto di collaborazione accademica» ma non di gravità tale da configurare i reati di violenza privata e stalking, secondo la conclusione alla quale è giunta la Procura milanese, che ha chiesto l’archiviazione del procedimento a carico del magistrato finito ai domiciliari a Bari dallo scorso 9 luglio, nell’ambito di un’altra indagine, per maltrattamenti nei confronti di 4 donne ed estorsione ad una ex corsista.

L’istanza firmata dai pm Cristian Barilli e Antonia Pavan verrà discussa in un’udienza fissata dal gip Guido Salvini il prossimo 16 settembre. Il giudice dovrà decidere se archiviare, disporre nuove indagini o l’imputazione coatta. Le quattro ragazze individuate come parti offese - provenienti da diverse zone d’Italia e all’epoca a Milano per coltivare il sogno della magistratura - finora non si sono opposte alla richiesta di archiviazione. L’inchiesta milanese era nata nel dicembre del 2017 dopo le prime notizie sul “dress code” che sarebbe stato imposto alle giovani frequentatrici della scuola di formazione giuridica Diritto e Scienza.

Gli inquirenti hanno raccolto una corposa mole di testimonianze, ascoltando le ex alunne del magistrato con il mito del “superuomo” e scandagliando il bizzarro regolamento. Le clausole sul dress code rivolte alle borsiste comprendevano «lunghezza, consistenza, colore e marca dei capi» con un look che «in generale appariva vistoso e provocante». Nel codice di comportamento anche il «dovere di collaborazione e fedeltà a Bellomo, di distacco rispetto ai “comuni allievi”». Regole a dir poco anomale per una scuola giuridica, ma secondo la Procura il reato di stalking non è configurabile perché «sebbene molte delle richieste rivolte alle borsiste siano state avanzate con insistenza attraverso telefonate in tarda serata e invio di email, non può ritenersi che valgano ad integrare una condotta abituale di molestia o minaccia». La rete di scambi, inoltre, è «connotata da reciprocità». E il timore delle ragazze di non superare il concorso di magistratura è «uno stato soggettivo autoindotto, alimentato dall’autorevolezza dell’indagato, che non trova nel comportamento di Bellomo alcun concreto fondamento».

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