
Carlo Di Napoli, capotreno di Trenord aggredito a colpi di machete nel 2015
Milano – Un gesto di pentimento, un tentativo di chiedere scusa a chi ha avuto la vita rovinata, non è mai arrivato. Solo silenzio nell’arco di 8 anni, dalla terribile aggressione a colpi di machete avvenuta l’11 giugno 2015 alla fermata di Villapizzone, alla periferia Nord di Milano. E gli autori, in quanto nullatenenti, non hanno mai versato i risarcimenti stabiliti dai giudici, che sono rimasti quindi solo sulla carta: numeri messi nero su bianco su una sentenza, ma senza alcun riscontro nella realtà.
Una vicenda giudiziaria che, dopo le condanne per tentato omicidio rese definitive dalla Cassazione nel 2018, si è chiusa per il capotreno Carlo Di Napoli con la rinuncia a far valere un proprio diritto, perché ha deciso di evitare una successiva battaglia in sede civile che si sarebbe tradotta per lui in spese legali da sostenere senza alcuna possibilità concreta di ottenere giustizia. Un calvario vissuto anche da tante altre vittime di reati violenti che, quando l’imputato non ha i soldi per pagare (o è riuscito a nasconderli), restano senza alcun risarcimento.
Il ricordo di Carlo Di Napoli, che lavora ancora per Trenord ma non è più in servizio sui treni, torna a quel giorno di otto anni fa, quando con il collega Riccardo Magagnin rimase in balia di un gruppo di salvadoregni della gang MS13 saliti a bordo senza biglietto. Il controllo di routine, con la richiesta di scendere dal convoglio e di pagare il ticket, finì nel sangue.
Uno dei salvadoregni, Josè Ernesto Rosa Martinez, estrasse un machete e si scagliò contro Di Napoli che, per le ferite ricevute, ha rischiato di subire l’amputazione del braccio. Magagnin, intervenuto in sua difesa, fu invece massacrato con calci e pugni. Un’aggressione, ripresa dalle telecamere, che sollevò l’ennesimo allarme sulla sicurezza per il personale a bordo dei treni. Agli arresti dei ragazzi sono seguiti i processi per tentato omicidio.
Nel processo di primo grado con rito abbreviato Martinez fu condannato a 14 anni. Per Jackson Lopez Trivino detto “Peligro“, che ha picchiato il ferroviere Magagnin, la pena più alta, 16 anni, pagando la scelta di negare le sue responsabilità. Ad Andres Lopez Barraza, ritenuto il proprietario del machete, furono inflitti 11 anni e 4 mesi. Altri tre ragazzi, invece, furono assolti. Le pene, poi, sono state ridotte nel processo d’appello, scontando due anni a testa per l’esclusione dell’aggravante dei futili motivi. E, infine, confermate dalla Cassazione.
Sul fronte penale la vicenda si è chiusa nel 2018, ma la partita sui risarcimenti è rimasta aperta. La provvisionale stabilita dai giudici - 50mila euro a favore di Di Napoli e 20mila euro a favore di Magagnin, entrambi parti civili - non è stata mai versata dagli imputati, che non hanno mai fatto avere neanche un acconto. E Di Napoli, assistito dall’avvocato Luca Ponzoni, ha rinunciato a una battaglia davanti al Tribunale civile, o in extrema ratio davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che rischiava di essere persa in partenza.
Ha ricevuto finora solo la somma erogata dall’Inail per l’infortunio sul lavoro, e gli è stata riconosciuta un’invalidità del 41% con il relativo assegno. Poco, considerando la gravità del danno, fisico ma anche psicologico, subito. Lunghi anni di interventi e riabilitazione, coperta dal sistema sanitario nazionale, per ferite che hanno lasciato effetti permanenti.
Resta la rabbia e la delusione, un sentimento di ingiustizia e abbandono, dopo cerimonie ed espressioni di solidarietà dei primi giorni, che accomuna tante altre vittime di reati. "Grazie alla nostra battaglia, partendo da zero, sono stati fatti passi avanti sugli indennizzi dello Stato per chi subisce reati violenti e sull’innalzamento degli importi", spiega Paola Radaelli, presidente dell’Unione nazionale vittime, associazione che da anni si batte su questo fronte anche attraverso petizioni e campagne di sensibilizzazione. "Noi non ci fermiamo – conclude – perché c’è ancora tanta strada da percorrere per far valere i diritti di chi subisce un reato".