Milano, 18 gennaio 2018 - «Ci sono singole unità di ricerca, articolate sul territorio, per osservare situazioni particolari, come il rischio idrogeologico in Valchiavenna. Ci sono corsi di studio veri e propri che vengono disegnati in aree in cui la formazione fa della sinergia col territorio un punto di forza». Giuseppe De Luca è prorettore alla Didattica all’Università degli Studi di Milano. All’orizzonte c’è il progetto del campus sull’area Expo, ma oggi il quartier generale è in via Festa del Perdono, Città Studi, via Corservatorio e via Noto. Si contano poi tre sedi decentrate: Edolo, in provincia di Brescia, Crema e Lodi, a cui si aggiunge l’ala di Sesto San Giovanni, col polo di Mediazione Linguistica e Culturale.
La Statale di Milano arriva anche in montagna. Ha ancora senso oggi?
«Non solo ha senso, ma Edolo è un fiore all’occhiello, nato 20 anni fa all’interno di un programma del Miur e diventato un modello per l’Italia e l’Europa. È l’Università della Montagna, coagula gli interessi di diverse istituzioni. È mantenuta e gestita in collaborazione con la provincia di Brescia, col Comune di Edolo».
Qual è il suo punto di forza?
«Ha una dimensione diversa, garantisce uno spettro migliore: da una parte abbiamo Milano, una metropoli internazionale, con l’università in dialettica con le multinazionali; qui abbiamo una collaborazione forte, con ricerche sui temi della montagna. Non siamo “andati in montagna” per avvicinarci ad alcuni studenti: sono gli studenti di tutta Italia a scegliere di andare lì. Stiamo pensando anche a convenzioni con l’Università del Piemonte Orientale per estendere lo schema».
Potranno essere aperte nuove sedi distaccate in futuro?
«L’idea è quella di valorizzare le esistenti. Con la stessa filosofia continua ad avere senso la sede di Crema, con una linea del corso di Informatica nella città della ex Olivetti».
E la sede di Lodi?
«Qui sarà concentrata Veterinaria. È un’area vocata alla zootecnia, con l’ospedale per i grandi animali e attrezzature straordinarie».
Mantenere queste sedi ha un costo.
«Bisogna crederci. Portare le nostre competenze sul territorio ma anche declinare le competenze che sono lì. È un privilegio potere lavorare in questi contesti, anche con piccole unità ma che fanno rete. E i territori lo hanno capito e partecipano, investono a loro volta. È importante aiutare i docenti a muoversi da Milano, creare le condizioni, perché se ci si concentra su un piccolo cabotaggio è destinato a morire. È la prospettiva internazionale anche di queste sedi a far crescere».
Decentrare o accentrare, quindi?
«Ci sono vantaggi strutturali nel creare unità su territori complessi, come in montagna. Dove invece la comunicazione e le infrastrutture sono migliorate, dove la distanza è di appena 50 chilometri, se non ci sono ragioni forti è più discutibile e allora ha più senso accentrare. Il futuro dell’università è nel modello campus».
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