GIAMBATTISTA ANASTASIO
Cronaca

Il medico di base ex balbuziente: “A scuola facevo scena muta per paura di essere deriso. Il rap mi ha salvato”

Camillo Zottola, 30 anni, dottore con la passione per la musica: “Quando ho superato il test per Medicina ho capito che dovevo fare qualcosa, altrimenti non sarei andato avanti nella vita”

Camillo Zottola, 30 anni, medico di base

Milano – "Se vuoi, lo puoi fare". "Con la testa alta, forte come un fiore tra le pietre". Parole, anzi versi, di una canzone rap. Parole, anzi rassicurazioni, del rapper Millinger. Lui sostiene non sia tra le sue canzoni musicalmente più ricche, ma dovesse consigliarne una sola, consiglierebbe questa. Millinger è un nome d’arte, sconosciuto ai più. Dietro c’è Camillo Zottola, 30 anni. Dietro c’è, soprattutto, una storia altrettanto sconosciuta, benché si tratti di una storia collettiva e non solo personale. C’è un fenomeno sociale due volte ridotto al silenzio: il voice shaming.

Millinger, quello capace di inanellare parole alla velocità del rap, è nato quando Camillo ha sentito e capito di voler e poter fare qualcosa contro la sua balbuzie, quando ha smesso di accettare la derisione di alcuni di quelli che gli stavano intorno. Alcuni, non tutti: "Gli amici – canta lui – li conto sulle dita di due mani", non di una sola. Così ha deciso di seguire un corso di rieducazione e, poi, di non fermarsi più, di farsi il suo piccolo e personale viaggio nel rap, di non accontentarsi di ascoltarlo e di iniziare a cantarlo: proprio "Non fermarti" è il titolo della canzone di cui sopra. Camillo è prima di tutto un medico di base, un anno fa ha aperto il suo studio. Ma è all’esame di Medicina che deve il primo sprone per il mixtape.

"La consapevolezza del problema l’ho avuta per la prima volta alle elementari, quando bisognava leggere ad alta voce in classe o nelle interrogazioni – racconta –. Lì ho iniziato a sentire che non riuscivo a parlare nel modo e coi tempi che volevo. Da lì in poi la balbuzie è solo peggiorata. Alle elementari ho avuto la fortuna di avere compagni e insegnanti pazienti e comprensivi che mi permettevano di prendermi il mio tempo, senza che abbia dovuto affrontare situazioni di vero voice shaming. Alle scuole medie, invece, ho sofferto parecchio. Il problema e gli escamotage per aggirarlo sono venuti fuori dalle medie, quando di solito si è un po’ più cattivi, in poi. Ho iniziato a mettere in atto atteggiamenti di evitamento: evitavo di parlare, questa è la cosa peggiore perché è come se ci fosse sempre un filtro tra come sei, quello che vuoi dire, e il mondo esterno. Per evitare di incorrere in un giudizio, si evita di compiere un’azione o di dire una frase che si ha in mente. Questo accadeva anche durante le interrogazioni: la sapevo ma non la dicevo per paura di balbettare".

Non solo l’ambiente scolastico gli soffocava la voce negli anni delle medie: "Giocavo a calcio, l’altro incubo era il momento della chiama in spogliatoio quando, prima delle partite, si deve dire ad alta voce all’arbitro il proprio cognome e numero di maglia: io non ci riuscivo mai. E ogni volta arrivavano gli sfottò dei compagni: ho iniziato a 4 anni a giocare a calcio e in terza media ho smesso. Magari avrei smesso lo stesso, ma non così presto".

"In quel momento, però, lo stress della chiama e delle continue battute dei miei compagni si sommava allo stress per l’approdo al liceo". Qualche anno più tardi la svolta: "Quando ho superato il test per Medicina mi sono detto che bisognava fare qualcosa perché altrimenti non sarei più andato avanti nella vita. Ho conosciuto il centro medico di Vivavoce, ho partecipato al corso di rieducazione alla parola, ho superato la balbuzie e allora è stato come quando dalla bottiglia di champagne salta via il tappo e vien fuori tutto: ho sentito che volevo misurarmi col rap, volevo esprimere tramite il rap quello che avevo dentro". Da qui il mixtape: "Prendetene tutti". Prendete la musica senza dimenticare quello che l’ha ispirata.

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