Inchiesta camici: Fontana non arretra

Il governatore non si dimette: «Nulla di nascosto nei miei patrimoni». Ecco la versione della Regione

Attilio Fontana

Attilio Fontana

Milano, 26 luglio 2020 - Non ha alcuna intenzione di dimettersi, Attilio Fontana: «Nei miei patrimoni non vi è nulla di nascosto», ha chiarito ieri sera su Facebook. I suoi più stretti collaboratori fanno sapere che il governatore lombardo «è carico» e determinato a tutelare la propria immagine, oltre che infastidito per aver appreso della sua iscrizione nel registro degli indagati da fonti ed agenzie di stampa prima che dalla procura. Parlerà in Consiglio regionale, Fontana. Probabilmente mercoledì, se la sessione di Bilancio e le annesse regole d’aula lo consentiranno. Il discorso è pronto. La linea di Palazzo Lombardia non cambia neppure ora che Fontana è indagato. La posizione è quella scandita dai suoi più stretti collaboratori già ieri mattina e infine formalizzata nelle dichiarazioni di Jacopo Pensa, avvocato difensore del governatore: reato incomprensibile, quello ipotizzato a carico del presidente della Regione. «Mi è oscura la ragione per cui Fontana è indagato. Aspetto che i pm mi chiariscano il motivo per cui viene contestata la frode»: queste le parole proferite dall’avvocato.

Con ordine, allora. Fontana è indagato nell’ambito dell’inchiesta della procura di Milano sui 75mila camici e i 7mila set sanitari (camici più cappellini più calzari) che Dama Spa si è offerta di fornire alla Regione, attraverso Aria Spa, la centrale d’acquisto lombarda, al prezzo di 513mila euro. Dama Spa è l’azienda del cognato di Fontana, Andrea Dini, la stessa azienda nella quale Roberta Dini, moglie di Fontana e sorella di Andrea, detiene il 10% delle quote. Aria commissiona l’ordine il 16 aprile 2020. ll 20 maggio, però, Dama invia una mail ad Aria informando di voler trasformare la fornitura in donazione. Il pagamento viene quindi bloccato. Alla fine arriveranno alla Regione tutti i 7mila set ordinati ma solo 49.353 camici sui 75mila previsti. Secondo quanto ipotizzato dagli inquirenti, i 25mila camici che mancano all’appello sono gli stessi che Dama ha invano cercato di vendere alla casa di cura “Le Terrazze“ (a Cunardo, provincia di Varese) al prezzo di 9 euro l’uno, 3 euro in più rispetto al prezzo proposto alla Regione prima che si virasse sulla donazione. Il 19 maggio, il giorno prima della mail con la quale si trasformava l’ordine in donazione, Fontana, stando sempre a quanto emerso dalle indagini della procura, cerca di bonificare alla Dama 250mila euro, attingendoli da un proprio conto svizzero protetto da scudo fiscale.

L’operazione non riuscì, il bonifico fu bloccato perché ritenuto non coerente con la normativa antiriciclaggio e fu inviata una segnalazione alla Banca d’Italia, che la girò alla Guardia di Finanza e alla procura. Proprio da qui parte l’inchiesta della procura. Perché quel bonifico? «Un gesto risarcitorio» nei confronti del cognato, dice Pensa. Nel frattempo il caso della commessa viene sollevato da Report, la trasmissione Rai. Questi i fatti.  L’accusa mossa dalla procura a Fontana è «frode in pubbliche forniture» perché la Regione non ha preteso che la commessa, poi trasformata in donazione, venisse completamente onorata, vale a dire: la Regione non ha mai preteso che Dama desse in dono anche i 25mila camici che mancano all’appello.

Da Palazzo Lombardia spiegano che spettava ad Aria Spa, non al presidente della Regione, intraprendere le azioni necessarie affinché la donazione fosse onorata per intero, sottolineano che dal punto di vista economico la Regione non ha subito danni perché i camici consegnati ad Aria non sono stati pagati né sono stati pagati quelli mai consegnati, assicurano che nella virata da “fornitura“ a “donazione“ per nulla ha influito l’interessamento di Report, «che su questa vicenda ha inviato una mail ad Aria solo il primo di giugno». Infine, quanto alla questione di opportunità sollevata dagli incroci tra committente (la Regione di Fontana, attraverso Aria) e fornitore (l’azienda del cognato e della moglie di Fontana), da Palazzo Lombardia invitano a considerare quanto fosse impellente il bisogno di dispositivi di protezione individuale in un contesto altamente emergenziale quale quello di una pandemia, tant’è che Dama fu solo una delle 6 aziende alle quali Aria commissionò forniture. E, quanto ai camici, il prezzo offerto da Dama (6 euro l’uno,come detto) non era tra i più alti: c’è chi ha chiesto ottenuto da Aria 10,3 euro a camice per un totale di 6,7 milioni di fornitura.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro