Milano, l’ergastolo deve essere rimotivato: l’ultima carta di Brega Massone

Giovedì si torna in aula

Brega Massone in aula

Brega Massone in aula

Milano, 25 giugno 2018 - Li uccise senza volere o immaginava benissimo che operandoli sarebbero finiti all’altro mondo? E di conseguenza: ergastolo o no? È tutto qui, in fondo, il processo d’appello-bis che si apre giovedì a carico di Pier Paolo Brega Massone, l’ex chirurgo toracico primario della clinica Santa Rita, che un anno fa si vide annullare dalla Cassazione la condanna all’ergastolo per l’omicidio volontario di quattro pazienti. Pareva che l’annullamento (con rinvio) della condanna al carcere a vita cancellasse una volta per tutte l’ipotesi degli omicidi volontari. In realtà, nelle motivazioni della sentenza la Corte ha scritto che non è escluso che quelli contestati al medico dalla Procura siano stati davvero omicidi dolosi, ma che i giudici dovranno motivare meglio l’accusa di omicidio volontario e solo «eventualmente» rideterminare la pena se verrà accertata un’intenzione diversa.

Dunque omicidi preterintenzionali, cioè volendo solo provocare lesioni o addrittura semplici errori involontari? Gli “ermellini” spiegano che resta da stabilire solo se si sia trattato di omicidio volontario o preterintenzionale, senza alcuno «spazio applicativo» per l’omicidio colposo. Dunque l’ergastolo per Brega - già condannato definitivamente a 15 anni di carcere per truffa e lesioni - e per il suo braccio destro Fabio Presicci è da rivalutare perché il primo processo d’appello «ha omesso di confrontarsi puntualmente» con la «possibile lettura alternativa» - proposta dalla difesa - per cui la morte dei pazienti sarebbe preterintenzionale».

La nuova Corte d’assise d’appello, se vorrà mantenere l’accusa di omicidio volontario, dovrà perciò motivare la condanna in modo più completo. Sarà dunque riesaminato quanto accaduto nella “clinica degli orrori” perché - ha ricordato la Suprema Corte - «la prova dell’imputazione più grave deve essere raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio». L’appello-bis che comincia fra tre giorni dovrà così rispondere a cinque obiezioni già sollevate dalla difesa: che Brega e Presicci escludevano di uccidere perché pensavano di «controllare il rischio operatorio»; che hanno tentato la rianimazione quando le cose si sono messe male; che tanti interventi erano andati bene; che escludevano di fallire. Infine, che volevano evitare grane giudiziarie e assicurative.

Per infliggere loro l’ergastolo, servirà la prova che avrebbero operato immaginando che i pazienti sarebbero morti, come avvenne in effetti per Giuseppina Vailati di 82 anni, Maria Luisa Scocchetti di 65, Gustavo Dalto di 89, e Antonio Schiavo di 85. Tutti portati in sala operatoria - per la Procura - solo per «monetizzare» i rimborsi garantiti dal sistema sanitario nazionale. Arrestato nel giugno 2008 con l’accusa di omicidio aggravato dalla crudeltà, l’ordinanza del giudice lo dipinse da subito più come un procacciatore d’affari che come un dottore. Un businessman col camice bianco alla caccia di soldi per il proprio reparto, pronto ad usare il bisturi anche quando non ce n’era bisogno pur di incrementare gli introiti da richiedere alle casse della sanità pubblica.

 

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