Caso leonessa dei Balcani, gup: "Istigava ragazze, ma nessuna prova di legame con l'Isis"

Le motivazioni della condanna, ridotta rispetto alle richieste, per la 20enne Bleona Tafallari

Bleona Tafallari, 20 anni, portata in carcere durante il blitz della polizia in via Padova

Bleona Tafallari, 20 anni, portata in carcere durante il blitz della polizia in via Padova

Milano, 10 ottobre 2022 - Non c'è la prova che Bleona Tafallari,  kosovara condannata a luglio a tre anni e quattro mesi di reclusione, facesse parte dell'organizzazione i 'Leoni dei Balcani', ritenuta una costola dell'Isis, ma ha mostrato "con una certa determinazione e decisione, di voler aggregare attorno a sé soggetti, soprattutto giovani coetanee, per raggiungere scopi ed obiettivi coincidenti con le affermazioni dell'Islam violento". E' quanto ha scritto il gup Livio Cristofano nelle motivazioni della sentenza di condanna della ventenne nata in Kosovo ma domiciliata a Milano, rese note oggi. Arrestata a novembre del 2021 e inizialmente indagata per terrorismo internazionale, la ragazza è stata infine condannata per istigazione a commettere reati con l'aggravante del mezzo informatico.

Il giudice ha scritto che "la Tafallari non 'partecipava ad una organizzazione terroristica (perché di ciò non vi è prova), ma, in base alle caratteristiche (...) del fenomeno terroristico moderno, ella istigava terzi ad organizzarsi per costituire un gruppo (quel che possiamo chiamare cellula) al fine di perseguire i medesimi scopi indicati dall'Isis e, in genere, da tutti gli organismi terroristici dell'eterogeneo mondo islamico". In sostanza, ha tentato di costituire "una autonoma aggregazione femminile 'militante'" di donne musulmane "ed attiva nel proporre e condurre attività di fiancheggiamento e di supporto morale e materiale ai mujahidin o, comunque di tutti coloro che, rispondendo ai proclami" dello Stato Islamico "si impegnino a condurre una vita da combattente e a prepararsi ad una morte da martiri".

Secondo la ricostruzione Bleona Tafallari, ora ventenne, come emerge dalle chat agli atti dell'indagine, già a 16 anni, "subiva una profonda radicalizzazione islamica, nonostante il parere contrario di una famiglia (che lei stessa definiva musulmana a modo loro), che conduceva il suo percorso integralista nel cosiddetto dark web". Dall'analisi del contenuto del suo cellulare sono stati riscontrati «numerosi elementi che consentono di affermare (...) la sua totale condivisione dell'ideologia integralista e la sua ammirazione verso lo Stato Islamico". "Ciò, però - proseguono le motivazioni -, non è sufficiente, ad avviso del giudice, ad affermare l'appartenenza in senso giuridico della donna all'Isis o alla ancor poco nota organizzazione dei 'Leoni dei Balcai'". Anche perché, sempre in base all'esame delle chat, e in particolare due messaggi, "in nessuna si evince un ruolo effettivamente definito e consolidato della Tafallari, anzi, entrambe presentano caratteristiche di sporadicità e da nessuna di esse e da nessun elemento acquisito al procedimento si può evincere un minimo o flebile segno di riconoscimento esterno o indiretto da parte dell'Isis nei confronti" della giovane.

La ragazza, attraverso WhatApp, Snapchat, Instagram e soprattutto Telegram, avrebbe svolto "una incessante attività propagandistica dell'ideologia e dello stile di vita delle organizzazioni terroristiche (...) esaltando lo Stato Islamico in tutte le sue componenti e aspramente criticando l'atteggiamento dei governi e della civiltà occidentali". Inoltre avrebbe dispensato "consigli alle sorelle", diffuso proclami di Daesh, celebrato gli autori degli attentati e anche offerto soccorso e diponibilità a reperire denaro per "incentivare la fuga di donne detenute". Tutti atti "di natura individuale e di iniziativa autarchica", che non dimostrano però la sua appartenenza a organizzazioni terroristiche ma che dimostrano come Tafallari, osserva il giudice Cristofano, "inseguiva una propria patologica aspirazione: quella di realizzare e di approntare un qualsivoglia tipo di attività che potesse essere utile alla causa islamica violenta" cercando, "senza, però, raggiungere la soglia del tentativo punibile, di 'promuoverè o 'sollecitare' la costituzione di una cellula clandestina più o meno numerosa".

Il ritratto di Bleona

Bleona Tafallari, ventenne originaria del Kosovo con cittadinanza italiana, si faceva chiamare "leonessa" o "sposa pellegrina". È moglie di Perparim Veliqi, ventunenne miliziano kosovaro che vive in Germania ed legato a Kujtim Fejzulai, autore della strage di Vienna del 2 novembre 2020. Bleona e Perparim si sono sposati in gennaio, vedendosi per la prima volta il giorno del matrimonio.Nel telefono custodiva manuali per l’addestramento, tra cui il libro sulle "44 vie", una guida per i "mujaheddin" aderenti ad Al Qaeda, screenshot sulla realizzazione di ordigni, video e audio in difesa dell’Isis, file relativi ad attentati. La Digos ha individuato oltre duemila chat Telegram, WhatsApp e Snapchat che confermerebbero il suo ruolo nella costruzione di una "rete femminile". La giovane si sarebbe radicalizzata "un passo alla volta", on line, dall’età di 16 anni, staccandosi dalla famiglia. Nata in Kosovo, ha vissuto per anni a Isernia frequentando le scuole italiane, per poi tornare in Kosovo. Si è trasferita dal fratello a Milano, in agosto, per rinnovare la carta d’identità e fare il vaccino anti Covid. Secondo le accuse che hanno portato al suo arresto, la ragazza attirava online nuove leve da convertire, giovanissime, con un linguaggio infarcito di emoticon, e cercava contatti con mogli di terroristi detenuti o con le compagne di combattenti della jihad che voleva aiutare a fuggire dai campi siriani.

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