
Via Severoli, bambina di 9 mesi morta in casa
Milano, 8 febbraio 2017 - Morì a soli 9 mesi, di fame e di sete: un evento «causalmente riconducibile alla trascuratezza delle sue primarie esigenze da parte» dei suoi genitori. Lo scrivono i giudici della prima sezione della Corte d'Assise di Milano, presieduta da Ilio Mannucci Pacini, nelle motivazioni della sentenza con cui, il 18 novembre scorso, hanno condannato a dodici anni Marco Falchi e Olivia Beatrice Grazioli, accusati di maltrattamenti aggravati dalla morte della bimba, scomparsa ancora bebè nel febbraio di due anni fa nella sua casa di via Severoli, a Milano.
Secondo i giudici, come si legge nelle motivazioni da poco depositate, Aurora è deceduta a causa delle «mancate cure ricevute: disidratazione, malnutrizione, infezioni generiche sviluppate in quella situazione di gravissima debilitazione generale». E se la sua morte, secondo la Corte, non è stato «un evento voluto dai genitori», era però «prevedibile» ed «evitabile», come accertato anche dall'inchiesta del pm Cristian Barilli, in quanto la bambina «era visibilmente molto magra e i sintomi del suo peggioramento non erano ben nascosti, bensì del tutto evidenti». La morte di Aurora, scrivono ancora i giudici, è «addebitabile agli imputati» in quanto agli stessi è da muovere «il rimprovero di avere volontariamente trascurato di occuparsi della cura e dell'assistenza della minore, lasciando che l'ultima infezione la consumasse fino alla morte, nonostante l'evidenza dei sintomi della malattia».
Secondo i giudici d'Assise, poi, le condotte degli imputati nei confronti della figlia «non sono apparse conseguenza di una situazione di indigenza/necessità o di un disturbo di personalità», ma al contrario sono «frutto di una scelta che accomunava entrambi gli imputati, di uno stile di vita che hanno voluto prolungare anche dopo la nascita di Aurora». La Corte, inoltre, ha motivato il fatto di non avere riconosciuto ai due imputati le attenuanti generiche spiegando «che la loro indifferenza verso le più basilari ed elementari esigenze della figlia si è protratta nel tempo ed è apparsa sempre più grave, senza trovare giustificazione nelle loro caratteristiche di personalità». Ecco perché, secondo i giudici, non sarebbe stato «equo» differenziare le pene in quanto «l'atteggiamento più passivo della signora Grazioli rispetto al signor Falchi, non è apparso corrispondere a una sua posizione di effettiva subordinazione».