
Anna Maria Alini
L’amore le si è presentato vestito dell’abito che lei sognava. Ma ha finito col lasciarla nuda con appena cinquemila lire in tasca. Il suo primo lavoro, una volta arrivata a Milano, è stato in una profumeria. Ma solo oggi riesce a dare un nome al profumo che allora la convinse a lasciar tutto e partire, a prendersi il proprio posto dietro quelle vetrine, in un’altra città, in una nuova vita: "Ribellione" è quel nome, "ribellione" è quel profumo. Del giudizio altrui, del biasimo sociale, ha sofferto, come è umano che sia: "Mi davano della malmaritata". Ma non ha ceduto.
Un solo rimpianto, ma riguarda altro: "Avevo promesso a papà che non lo avrei lasciato morire in un letto di ospedale, invece è andata così. Quel giorno, alle 7.30 del mattino, sentii in casa un tonfo, come se un quadro fosse caduto a terra. Ma tutti i quadri erano appesi. Rimasi in uno stato di agitazione finché decisi di prendermi mezza giornata di permesso dal lavoro per andare da lui in ospedale. Ma sono arrivata tardi". Proprio a papà Dino deve l’eredità più preziosa: "L’onestà. Sono felice di essere sempre stata onesta come lui".
Le sue parole risuonano di quella consapevolezza essenziale e rivelatoria che arriva col trascorrere degli anni, col ripercorrere i giorni: "Non ho finito il liceo scientifico, non sono andata all’università. La laurea te la dà la vita". Senza maestri, ha fatto quello che nei primi anni ’70 han fatto in poche: si è della stessa sostanza delle proprie scelte. E per lei la scelta era compiuta: "Arrivata a Milano, mi son detta che non mi sarei più fatta schiacciare da nessuno. Me lo ripeto tuttora. Perdonare sì, dimenticare no".
Anna Maria Alini è nata a Varese il 3 maggio del 1936. In quei primi anni di vita ha rari ricordi di suo papà: "Era andato a cercar fortuna in Argentina". Della guerra, invece, ricorda un boato su tutti: "Quando diedero fuoco alla polveriera di Arcisate, la potenza dell’esplosione fu tale da rompere i vetri delle case a Varese". Per il resto fu incoscienza: "Eravamo piccoli, non capivamo. Andavamo per i campi con gli aerei militari che ci volavano sopra la testa". In quella stessa testa si sarebbe presto fatto largo proprio l’amore per le divise: "Mi piacevano. Lo sognavo così il mio uomo. Tornassi indietro, direi a quella ragazza di non badare all’abito". Quella ragazza stava semplicemente aspettando l’autobus, come ogni giorno, nella sua Varese.
"Avevo sì e no 26 anni e lui era un bel ragazzo – sottolinea Anna Maria come ad autoassolversi –. Mi si è avvicinato con la sua divisa da ufficiale e mi ha chiesto se quel bus arrivasse al capolinea. Mi disorientò, non capivo perché non sarebbe dovuto arrivare all’ultima fermata. E, poi, che poteva interessare a lui di quell’ultima fermata visto che, nel caso di quel bus, era al cimitero?". Ma Aldo doveva restare a bordo il più a lungo possibile per capire a quale fermata sarebbe scesa Anna Maria. E infatti nei giorni successivi lei se lo ritrovò sul bus. "Tre anni dopo il primo incontro, ci sposammo".
L’inizio fu da favola: "Lo seguivo, andavamo dove l’Esercito decideva di mandarlo. Abbiamo vissuto quasi 10 anni a Verona, città bellissima, poi due a Como e avevo una ragione in più per esser felice: ero più vicina ai miei genitori". Anche papà Dino stravedeva per quel militare: "Quando ci vide entrare in casa sua insieme per l’ultima volta, spalancò la bocca dalla speranza". Si illuse che sua figlia e Aldo fossero riusciti a far tornare indietro le lancette del tempo. Invece no, erano ancora i primi anni ’70, il divorzio era diventato legge da poco ma l’Italia era rimasta uguale a se stessa: "Nel fine settimana, quando ero libera dal lavoro, da Milano tornavo a Varese per far visita ai miei genitori. Capitava che un collega si offrisse di darmi un passaggio in auto ed io accettavo. Finché una domenica mia madre mi disse di non presentarmi più a Varese col mio collega perché la gente andava dicendo che ero una malmaritata, una donna facile. Lo ricordo bene, disse: “Piuttosto, è meglio che non vieni a trovarci“". Il pregiudizio le aveva appena parlato con la voce più cara ad ogni figlio. Così quell’Italia guardava alle donne che decidevano di rompere un matrimonio infelice.
«Scoprii che Aldo buttava via soldi nel gioco d’azzardo e che non era fedele. Un giorno ho trovato la forza di dire basta. Mi sono separata. Ero ancora innamorata di lui. Ma mi dissi che non volevo più farmi schiacciare. Subito dopo ho comprato un quotidiano, sono andata sulla pagina degli annunci di lavoro e ho trovato quel posto in profumeria, a Milano. Lui non mi ha dato nulla, mi ha lasciata nuda con cinquemila lire in tasca". A Milano è iniziata un’altra storia. Non solo il lavoro in profumeria, Anna Maria, grazie al diploma di estetista e massaggiatrice conseguito dopo aver lasciato il liceo, in estate inizia a lavorare in un albergo di lusso all’Isola d’Elba.
Qui conosce Ernesto Calindri, si prende cura di Indro Montanelli, che le si affezionerà tanto da invitarla al suo matrimonio con Colette Rosselli, “Donna Letizia“. "Ho lavorato in quell’albergo 6 anni prima di essere assunta in un’altra profumeria, in piazzale Susa, dove sarei rimasta 30 anni. Anni bellissimi, quelli all’Elba". Anni nei quali Anna Maria ha capito che a volte si può anche toccare il cielo con un dito, senza paura, senza temere di farsi male, recuperando quell’incoscienza con la quale, da bambina, correva per i campi senza badare agli aerei militari sopra la sua testa.