
Antonio Vena ha sparato alla compagna nel sonno, uccidendola
Tocca ad Antonio Vena, l’omicida reo confesso che in pieno lockdown, il 19 aprile dell’anno scorso, sparò un colpo di fucile in faccia ad Alessandra Cità, la compagna che aveva deciso di lasciarlo. Martedì l’operaio deporrà davanti alla Corte di Assise di Milano. Il processo per l’assassinio della tranviera 47enne di Truccazzano entra nella fase cruciale. L’uomo ripercorrerà le ultime ore di vita della “prima fidanzatina”, ritrovata anni dopo e che lui "avrebbe voluto sposare in chiesa". È il quadro entro il quale sarebbe maturato "il corto circuito emotivo" che l’avrebbe portato – di fronte alla decisione di lei di mettere fine al rapporto – a ucciderla. Questa la ricostruzione della difesa.
L’agguato nel sonno. Poi il manovale di Bressanone andò a costituirci: "Ho ucciso la donna della mia vita", disse ai carabinieri. Fra i due c’era una storia a distanza dal 2012. Si incontravano nel weekend, ma non durante il primo lockdown, quando lei lo aveva ospitato nell’elegante villetta di Albignano, teatro del delitto, senza alcun timore per la propria incolumità nonostante la decisione di rompere. Il divieto di uscire dai confini regionali per evitare il contagio aveva impedito a lui di tornare in Trentino e lei aveva acconsentito a ospitarlo, chiarendo che quello era un addio. La sera del 18 aprile avevano cenato come al solito, Alessandra scambiò qualche messaggio con le colleghe, come sempre, sembrava tutto tranquillo. E invece quando si appisolò, una fucilata in pieno viso l’uccise sul colpo.
Vena è andato in Corte d’Assise su decisione del gup di Milano Alessandra Simion, che ha accolto la richiesta del pm Giovanni Tarzia e mantenuto le aggravanti della premeditazione e della relazione sentimentale. Il piccolo centro della Martesana non ha mai superato lo choc del femminicidio e ricorda la donna "vittima di codardia e crudeltà, dell’arroganza di un uomo padrone" con una panchina rossa.
Bar.Cal.