Aldo Moro e il necrologio preventivo: cosa c’è scritto nei telegrammi segreti Usa

I messaggi dell’ambasciata: allarme per le rivelazioni ai terroristi. I riferimenti a Gladio. Le parole di Piersanti Mattarella: "Anche libero, sarà ai margini".

Roma, 9 maggio 2023 – Morto comunque. Aldo Moro, anche libero, sarebbe stato politicamente finito. La tela pazientemente tessuta per dar vita a un’alleanza Dc-Pci, sepolta con lui. Il ritrovamento nella Renault 4 rossa di quel corpo rannicchiato, trofeo macabro a due passi da Botteghe Oscure e Piazza del Gesù, fu l’estremo, inevitabile atto della tragedia. Cinquantacinque giorni prima, il 16 marzo, tutto è ancora possibile. A Villa Taverna, residenza dell’ambasciatore Usa, la nascita del nuovo governo con il voto favorevole dei comunisti è un boccone duro da ingoiare. La nuova amministrazione di Jimmy Carter, messo da parte il duro Henry Kissinger, con cui Moro non si intese mai, adotta una linea meno oltranzista. Arriva Richard Gardner. Moglie italiana, pallino per le relazioni pubbliche, il diplomatico incontra tutti. Comunisti compresi. La linea è: "Nessuna interferenza, nessuna indifferenza". Certamente non lascia indifferenti la nascita di un governo con il voto favorevole del Pci. Meno che mai, il rapimento di Moro. Lo dice una serie di telegrammi spediti a Washington dall’ambasciatore, rimasti finora sepolti negli archivi americani. Fa forse parte dell’inevitabile cinismo delle relazioni internazionali, ma colpisce che già a inizio aprile, quindici giorni dopo il sequestro, le condoglianze ufficiali per la morte dello statista democristiano siano già pronte. "In caso di conferma che Aldo Moro sia stato assassinato – scrive l’ambasciatore al ministero – eccovi un messaggio per il ministro degli esteri Forlani, da sottoporre alla considerazione del segretario di Stato Vance". Segue un breve, generico, ricordo di un uomo "che ha contribuito allo spirito di amicizia fra i nostri Paesi".

Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro il 9 maggio
Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro il 9 maggio

Un mese prima dell’omicidio, per Moro, quindi, era già pronto il necrologio. Il testo, declassificato dal 2014, emerge dalle pieghe dell’archivio diplomatico. Ma nella raccolta di telegrammi di Gardner c’è dell’altro. Come il resoconto della visita dell’ambasciatore, il 12 aprile 1978, al nuovo presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella, che due anni dopo sarà trucidato dalla mafia. Il fratello di Sergio, oggi Capo dello Stato, era allora la punta avanzata della linea politica di Moro, artefice e suggello di un disegno politico che fa nascere, il 20 marzo 1978, una giunta a guida Dc, basata sul centrosinistra, con l’appoggio esterno dei comunisti. A Gardner Mattarella chiarisce qualcosa di drammaticamente semplice. "In qualunque modo finisca il sequestro di Moro, io penso sia molto improbabile che il presidente della Dc possa mai tornare a ricoprire cariche importanti – spiega il presidente della Regione a Gardner –. Questo non gli impedirà di continuare a servire fuori dai riflettori come motivatore e mediatore del partito, ma precluderà per sempre la sua elezione al Quirinale e un suo possibile ulteriore servizio da presidente del Consiglio". Brutalmente detto, Moro è politicamente finito. Che si salvi o meno, non sarà più quel che è stato. L’ambasciatore riferisce a Washington "un commento di particolare interesse". Ma perché Moro è politicamente già morto?

Rapimento Moro, la mappa dei luoghi
Rapimento Moro, la mappa dei luoghi

Il rischio, per gli americani, sta (anche) in ciò che il politico cinque volte premier può raccontare alle Brigate rosse. Il 10 aprile dalla “prigione del popolo“ le Br offrono uno stralcio dell’interrogatorio. Fra i tanti nomi citati, uno solo attira l’attenzione di Gardner, quello di Paolo Emilio Taviani, partigiano, ex ministro della Difesa e dell’Interno. Per l’ambasciatore (forse con un po’ di sollievo) le dichiarazioni di Moro "non pungono". Il presidente della Dc parla di un Taviani con "contatti diretti e confidenziali con gli Usa". Nulla di che, in apparenza. A far paura, però, è quello a cui il prigioniero allude. Anche a Washington sanno, del resto, che Taviani è il fondatore di Gladio, la parte italiana della rete insurrezionale segreta contro l’invasione russa, la cui esistenza sarà confermata ufficialmente solo nel 1990. Tanto basta per far scattare un campanello d’allarme. E per considerare Moro un pericolo.

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