Milano, 11 settembre 2024 - Dopo la prima edizione nella cornice bolognese, gli ideatori di Mag to Mag hanno inteso che per fare il salto di qualità era necessario cercare un luogo a Milano che potesse contenere tutto ciò che comporta il Festival di editoria indipendente. Dal 14 al 15 settembre, lo Scalo Farini sarà arricchito da riviste di ogni parte del mondo, da prodotti editoriali dal valore unico, attorno a cui graviterà un insieme di eventi collaterali ma formativi del festival: talk, workshop, conferenze con esperti del settore per raccontare agli appassionati e ai curiosi cosa significa ideare e creare riviste di nicchia, ma non solo.
Anna Frabotta, ideatrice di Mag to Mag e fondatrice dello shop in via Sirtori, Frab's, ha raccontato al Giorno le riflessioni che stanno dietro all'evento, controcorrente rispetto alle inclinazioni attuali ma in grado di attirare visitatori da ogni luogo e di ogni età.
Seconda edizione di Mag to Mag quindi sfide ancora più ambiziose: come si sviluppa l'evento di quest'anno?
Rispetto all’anno scorso il festival mantiene circa la stessa formula: avremo più editori rispetto all’anno scorso, saranno di più (60 rispetto ai 50 del 2023). Come l’anno scorso nell’area market ci saranno editori da ogni parte del mondo: editrici, tutte ragazze, che arrivano dal Mozambico e che raccontano la cultura africana e non solo. C’è un editore che arriva a Shangai, alcuni dall’India, dall’Australia oltre che da tutt’Europa, Londra compresa che è un po’ lo zoccolo duro di questo settore. Crediamo che Mag to Mag oltre ad essere l’unico festival italiano che parla esclusivamente di magazine e di editoria periodica è anche il festival che riesce a rappresentare al meglio il settore dell’editoria di nicchia. Siamo contenti anche della risposta che abbiamo ricevuto: oltre un centinaio di iscritti che abbiamo dovuto selezionare per ragioni di spazio, ma che speriamo di ospitare l’anno prossimo. Come l’anno scorso la parte market è affiancata per l’intera durata del festival da talk, workshop, momenti formativi, momenti collaterali ma anche parte integrante del festival. In questi sono coinvolti art director e giornalisti che lavorano nel mondo dell’editoria indipendente ma anche mainstream. La scelta di Milano come culla del festival da cosa è stata motivata? È stata motivata dal fatto che c’è già lo store, che si trova in Porta Venezia, dove organizzate eventi, workshop e talk oppure anche dall’essenza di Milano, che sappiamo essere la migliore vetrina soprattutto per quanto concerne la cultura?
Ci è dispiaciuto tantissimo non poter essere a Bologna ma non abbiamo trovato una location idonea quindi abbiamo virato su Milano anche perché da febbraio abbiamo aperto uno store in città quindi ci siamo resi conto del senso di fare il Festival nella stessa città. Il grosso della creatività si muove a Milano e quindi ci sembrava quasi doveroso fare almeno un’edizione qui. Nel quartiere dove abbiamo lo store, in porta Venezia, si muove il mondo dell’arte, dell’editoria ed è innegabile che Milano sia la città più europea d’Italia e fulcro della creatività italiana. Più del 50% dei clienti che abbiamo e che transitano dal negozio non sono italiani, magari perché di passaggio in città o perché lavorano qui ma ecco, questo è un chiaro segno del fatto che Milano sia una città cosmopolita.
Quali saranno le novità da aspettarsi per questa edizione?
Sicuramente quest’anno pesano i nomi delle persone che terranno i talk e saranno presenti all’evento: tra loro Luca Sofri del Post, Christian Rocca, direttore de L’inkiesta, Stefano Cipolla, art director dell’Espresso, Francesco Franchi, vice art director di Repubblica. Avremo anche l’ex founder di Vice Italia, de L’uomo Vogue: abbiamo messo insieme un parterre di ospiti in dialogo tra loro, non solo dell’editoria indipendente ma dell’editoria a 360 gradi. Un’altra novità saranno i workshop, che già erano presenti l’anno scorso ma in quest’edizione saranno momenti formativi molto più pratici. Ci sarà un workshop, Istant zine, che dura tutti i giorni durante i quali verrà realizzato il magazine del festival: è stata messa in piedi una redazione, guidata da una docente dell’università di Atene, che insieme ai partecipanti creerà in loco una “zine”, una sorta di magazine che verrà stampato e distribuito come documento su carta del festival.
Parliamo ogni giorno di “Intelligenza artificiale” eppure il manifesto che avete scelto per l’edizione è un’espressione nuova e curiosa ovvero “Intelligenza sentimentale”: cosa vuole significare e in che modo si può trovare l’intelligenza sentimentale all’interno dei magazine?
Abbiamo inventato l’espressione da zero riflettendo sull’intelligenza artificiale: non siamo apocalittici e pensiamo sia giusto aprire riflessioni a riguardo sottolineando l’importanza di questo strumento. Ma ciò che ci preoccupa maggiormente è che l’intelligenza artificiale non vada a sostituire la creatività umana e quando parliamo di editoria periodica, soprattutto di nicchia, ci rendiamo conto di questa cosa. I magazine sono l’espressione di chi li ha pensati e creati e sono uno dei prodotti che meglio rispecchia la creatività umana. Dalla grafica, ai contenuti, alla passione che si investe c’è tanto di umano e quindi abbiamo pensato a ciò che l’intelligenza artificiale non sarà in grado di fare, ovvero provare sentimenti. L'IA copia ma non potrà provare sentimenti e neanche copiarli quindi vogliamo sottolineare la specificità e unicità dei magazine che non potrà essere riprodotta.
Gli ultimi dati, pubblicati a maggio, evidenziano che il mercato del libro nei primi quattro mesi del 2024 è in flessione rispetto allo stesso periodo nel 2023, nonostante negli ultimi anni ci siano state percentuali positive e le librerie fisiche abbiano via via guadagnato terreno su quelle online. Le vendite dei giornali di carta invece, sappiamo essere sempre in difficoltà: i periodici dove si inseriscono? Sono un prodotto ricercato? Da che fascia?
Le statistiche riguardano un genere di riviste che sono registrate al tribunale, che fanno a capo di grandi gruppi editorali. Quelle di nicchia e indie vengono escluse dalla ricerca e quindi non ne conosciamo i dati e i numeri. Questa cosa andrebbe colmata ma se il mercato dell’editoria mainstream classico è in crisi, dall’altra parte non è così, anzi l’editoria indipendente è florida, almeno rispetto a ciò che vediamo. Ogni anno infatti nascono nuove riviste: vengono stampate poche copie ma riescono a creare intorno a loro una community e un bacino di utenti che li supporta nei numeri successivi. I prodotti ricercati, di alta qualità espressa nei contenuti ma anche nelle scelte grafiche ed editoriali vengono premiati, ad esempio dai giovani che richiedono sempre più spesso le riviste.
In una newsletter di Frab's, avete scritto che i magazine sono diversi dai libri, “non hanno capitoli, ma articoli ed editoriali sempre diversi e nuovi e non necessariamente legati tra loro e, soprattutto, sono periodici per definizione, il che li rende in grado di abitare il contemporaneo, raccontandolo e ispirandolo al contempo, meglio di qualsiasi altro prodotto culturale”: nelle riviste, anche nelle più svariate, si possono trovare le risposte di una realtà frammentata come quella di oggi?
La rivista è in grado di abitare il tempo meglio di altro prodotto culturale; primo perché è un archivio, una capsula del tempo, perché se sfogliamo ora una rivista del passato dentro c’è raccontato l’attualità di quel momento. Tra le pagine vediamo la storia di una società che si evolve e che muta. Le riviste raccontano ciò che succede oggi ma sono anche predittive perché dietro c’è qualcuno che ha un’urgenza espressiva e che deve soddisfare questa creatività facendo un proprio prodotto. Alcune delle riviste più iconiche sono nate negli anni '80 e '90 quando qualcuno si rende conto che nelle riviste non viene data la risposta a ciò che è contemporaneo. In qualche modo ci ispirano e anticipano, così come succede anche nella moda o nel design quando si ipotizzano i grandi nomi dei designer di domani. Un altro esempio sono state le riviste della scena queer del passato, fondamentali per la quotidianità di quelle persone che sentivano qualcosa che ancora non è stato in grado di esprimere e questo ha creato le basi per una community in grado di costituirsi e diventare quella che è oggi.