
Il violoncellista Alessio Pianelli
Milano – Un talento assoluto, un entusiasmo che esprime a ogni concerto. Il violoncellista Alessio Pianelli approda a Milano per la Società del Quartetto in duo con il pianista Mario Montore alla Sala Verdi del Conservatorio martedì 18 aprile ore 20.30 (info e prenotazioni scrivere a info@quartettomilano.it o telefonare al numero 02 795393).
In programma Brahms con la «Sonata n. 1 op. 38, Wie Melodien zieht es mir e Immer leiser wird mein Schlummer» (dai Fünf Lieder op. 105); la «Suite italienne» di Stravinskij e la «Sonata op. 40» di Šostakovic. Nato a Trapani trentatré anni fa, residente a Basilea, insegna al Conservatorio di Roma e a quello di Trapani, il violoncellista racconta «Io e Mario suonavamo nello stesso quartetto, le tante affinità ci hanno portato a esplorare alcune delle pagine più belle scritte per pianoforte e violoncello».
Maestro, quando ha scoperto la musica?
«Ci sono nato: papà è pianista, mio zio è contrabbassista. Fin da piccolo giocavo con il pianoforte e mio padre mi seguiva; ricordo che lasciava l’ultima ottava così potevo improvvisare. A dieci anni il gioco si è fatto più serio ero incerto fra violoncello e violino, ci sono foto in cui fingo di suonarlo; Giovanni Sollima insegnava al Conservatorio della mia città, ho scelto il violoncello. Il primo concerto per violoncello che ho ascoltato è stato quello di Dvorak anche questo mi ha spinto verso il mio strumento».
Come s’insegna e come si apprende la musica in Italia e all’estero?
«Ho sempre avuto docenti che sapevano intuire il carattere di ogni allievo e interagivano, stimolano le sue capacità. Per me l’insegnamento è uno scambio fra maestro e studente; all’estero ci sono strutture migliori per l’apprendimento, l’investimento per la cultura è alto. Nei tanti viaggi fatti, recentemente in Tunisia, ho notato che in paesi con meno tradizione musicale, con edifici più fatiscenti gli allievi hanno una maggiore sete d’apprendimento».
Debutta alla Società del Quartetto di Milano.
«Un sogno che si realizza, bambino guardavo i programmi, gli artisti che suonavano alla Società e speravo di poter esibirmi anch’io un giorno. Suonare qui, per tutti i grandi che mi hanno preceduto è una grande responsabilità ma mi rende anche orgoglioso. A Milano mi sono già esibito ma questa volta è speciale».
Quando viaggia cosa porta sempre con sé?
«Oltre il violoncello? Il computer, le cuffie, cerco sempre di sfruttare i tempi d’attesa in aeroporto per comporre. In ogni città cerco di visitare il centro storico, il museo o i monumenti; la pandemia mi ha insegnato a dedicare più tempo anche a me».
Quanto dà il compositore all’interprete e viceversa?
«Tantissimo, ho iniziato a comporre come studio del suono, del segno. Dà un approccio diverso all’esecuzione e all’insegnamento, mi dà più libertà. Essere uno strumentista d’archi, ho anche suonato in grandi orchestre, mi permette di scrivere con più profondità la musica; so cosa può funzionare e cosa evitare, l’esecutore regala una vita più «facile» e creativa al compositore».