Milano, 15 maggio 2017 - Prima di tutto, qualche notizia. Aldo Moro è morto. Lo hanno ucciso il 9 maggio del 1978 le Brigate rosse. Nessun dubbio, anche se dalla lapide appesa in via Caetani dove fu ritrovato il suo corpo si potrebbe pensare che a provocarne la fine sia stato un autista ubriaco, visto che non c’è nessun cenno alla natura e tanto meno alla identità politica dei suoi killer. Seconda notizia: il femminicidio è un reato. Un omicidio previsto dal codice con relative aggravanti. Niente di misterioso. Potremmo continuare, ma ci fermiamo, perché già con i nostri esempi, due delle commissioni di indagine formate all’interno del nostro Parlamento potrebbero chiudere bottega.
Perché, se si deve indagare, è su fatti o fenomeni ancora avvolti nel dubbio, non su eventi noti e confermati da condanne, o su norme già esistenti. O no? A meno che questi luoghi di approfondimento non siano uno strumento per moltiplicare le presidenze, le segreterie dei presidenti, le indennità, e le consulenze, il vero iceberg che sta sotto la punta dei costi della politica. Intendiamoci. È molto facile di questi tempi salire sulla ruspa grillesca e decidere che tutto ciò che sta nel Palazzo è clientela, malaffare, e abuso. Troppo facile, e sbagliato. Deputati e senatori sono quasi sempre persone che lavorano con serietà nelle commissioni. Quelle vere, però: le 14 permanenti, insomma, e poche altre. Meglio se non perdessero il tempo loro e il denaro nostro in quelle inutili. Con un rischio, però. Che qualcuno alzi la mano e dica: giusto, troppe commissioni, tagliamo! Come? Ovvio: con una commissione d’inchiesta.