Da volontario nel sud del mondo al fronte della pandemia a Lodi

L ’esperienza di Gennaro, 30 anni di Taranto, che mentre era impegnato nel porto a Messina sulla Sea Watch è stato chiamato nella città lombarda per portare aiuto nell’ospedale alla prima emergenza sanitaria

Gennaro Giudetti, 30 anni di Taranto operatore sanitario di “Medici senza frontiere”

Gennaro Giudetti, 30 anni di Taranto operatore sanitario di “Medici senza frontiere”

Lodi - Operatore sanitario di “Medici senza frontiere”, in campo a Lodi e a Codogno durante la prima ondata Covid, porta nel cuore "il suono incessante delle sirene e lo spirito di abnegazione di tutti i coloro che si sono trovati improvvisamente a combattere un virus sconosciuto". La testimonianza arriva dall’operatore umanitario 30enne di Taranto, Gennaro Giudetti, nelle file di “Medici senza frontiere”. Il suo impegno, da 10 anni, per aiutare l’"umanità esclusa", senza lasciare indietro nessuno, si è infatti improvvisamente rivelato utile nella regione più avanzata d’Italia. Tanto che la sua storia, dal 2 aprile, viene trasmessa su Sky e altre piattaforme-tramite un docufilm intitolato “La Febbre di Gennaro”, regia di Daniele Cini. E’ la vicenda di un ragazzo che non ha mai accettato le ingiustizie e da 10 anni, prima grazie alla scelta di aderire al servizio civile internazionale, poi come volontario e, infine, come operatore umanitario, è impegnato ad aiutare i più svantaggiati in contesti di guerra di tutto il mondo. Con, all’interno, anche una parentesi sull’impegno profuso a Lodi e Codogno nei più tragici momenti della pandemia.

Signor Giudetti, quando le è stato chiesto di trasferirsi nel Lodigiano? "Ero a Messina, sulla Sea Watch, dove erano sbarcati migranti in arrivo dal Mediterraneo. Quando iniziarono i primi casi Covid, tra fine febbraio e i primi di marzo, ci è stato chiesto di intervenire e siamo partiti subito. Siamo arrivati a Lodi in 20 e ci hanno alloggiati in un albergo di Lodi aperto appositamente dalla Prefettura locale".

Era sorpreso di dover mettere a frutto la propria esperienza nel nord Italia? "Effettivamente non avrei mai immaginato di lavorare in una delle regioni più avanzate del nord Italia dato che, di solito, vado nella parte sud del mondo. Ma è stata un’esperienza preziosa. Ho conosciuto tanta gente in prima linea, non solo sanitari, ma tecnici di laboratorio, chi puliva, amministratori etc. e a tutti va detto grazie. Lavoravano con uno spirito di abnegazione incredibile. E non scorderò mai il rumore incessante delle sirene".

Che ruolo aveva a Lodi? "Io lavoravo con primari e caposala, ma non solo. Lo staff di “Medici senza frontiere” era di supporto allo staff sanitario locale in generale. In primis negli ospedali di Lodi, Codogno, Casale e Sant’Angelo, ma anche in molte residenze sanitarie assistenziali della zona. Portavamo come contributo la nostra esperienza nella gestione dell’epidemia, vedasi ebola e colera in Africa. Era importante saper usare bene e realizzare i dispositivi di posizione, circuiti puliti e sporchi e creare una efficace zona di decontaminazione per la svestizione degli operatori. Abbiamo fatto quindi moltissima formazione. A seguire siamo stati nelle carceri lombarde".