Lodi, rapì suo figlio: condannato 40enne

Il Tribunale inguaia un rom che nel 2013, appena uscito dal carcere, aveva prima aggredito la ex moglie poi preso con sè il bimbo di 8 anni

L'uomo era stato bloccato dalla polizia

L'uomo era stato bloccato dalla polizia

Lodi, 2 marzo 2018 - Un papà disperato, per quelle questioni familiari mai risolte. Una separazione finita male, e i figli contesi con la madre ed ex moglie. Era appena uscito dal carcere quando l’uomo, un 40enne italiano di origine rom, aveva cercato di rapire entrambi i suoi due ragazzi di 10 e di 8 anni, ma con la forza era riuscito a portare via soltanto il più piccolo, per poi scappare a bordo dell’auto. La disperazione della madre, la polizia che si era messa all’inseguimento, quasi una caccia all’uomo durata un’ora e mezza, fino al blocco vicino a Piacenza.

L'uomo voleva portare i figli nel campo nomadi nel Piacentino. Con lui, alle 8 del 1° dicembre 2013, c’era anche suo fratello. I due, insieme, avevano prima picchiato la ex compagna in via San Fereolo a Lodi e cercato di sequestrare, senza riuscirci, anche il figlio più grande, di 10 anni, che quella mattina stava andando a scuola insieme al fratellino. Il tribunale di Lodi, ieri, ha condannato a un anno e mezzo di reclusione i due fratelli accusati di sequestro di minore, tentato sequestro di minore e lesioni nei confronti della ex. Durante il processo, in aula, sono stati ascoltati diversi testimoni che hanno assistito alla scena, confermando la ricostruzione fornita dalla donna. Erano da poco passate le 8 quanto l’uomo, con numerosi precedenti penali per reati contro il patrimonio, era arrivato a San Fereolo con il fratello, aveva poi percosso la moglie per strada perché lasciasse i figli e cercato di prendere il bimbo di 10 anni che però era riuscito a divincolarsi e a scappare. Il padre, quindi, aveva portato via con sé, strattonandolo per il cappuccio della felpa, il più piccolo, di 8 anni. Subito erano scattate le ricerche del personale della Questura di Lodi, dapprima su tutto il territorio lodigiano e successivamente estese a tutta la regione, tramite le Questure e le Sezioni Polizia Stradale lombarde.

L’imputato, secondo quanto emerso durante il processo, aveva l’intenzione di risolvere la controversia matrimoniale davanti al Krisnitori, il tribunale degli zingari, che rappresenta la massima autorità giudiziaria della comunità. L’avvocato difensore, Carlo Maria Speziani, ha spiegato la reazione dell’uomo: "L’elemento su cui si fonda la comunità Rom e Sinti è la famiglia - ha spiegato davanti ai giudici il legale -, quindi l’individuo da solo non ha alcun senso, ma esiste ed è accettato in quanto ha un ruolo ed appartiene ad un nucleo familiare. Che sia marito, o moglie o figlio è dunque una condizione indispensabile".