Caso mense a Lodi, aperto il processo contro il Comune: "Regolamento iniquo"

Prima udienza a Milano del ricorso collettivo contro il Comune da parte delle associazioni

una manifestazione contro il regolamento

una manifestazione contro il regolamento

Lodi, 7 novembre 2018 - Un mese per  decidere. Il giudice Nicola Di Plotti della prima sezione civile del Tribunale di Milano, chiamato a pronunciarsi sul ricorso collettivo delle associazioni Asgi e Naga per far dichiarare discriminatorio il nuovo regolamento per le agevolazioni dei servizi a domanda individuale del Comune di Lodi, si è riservato. Sul tema più scottante degli ultimi mesi a Lodi, il giudice ieri ha deciso di prendersi tempo per valutare la questione. A sostenere l’illegittimità del regolamento della Giunta Casanova si è presentato l’avvocato Alberto Guariso, che ad aprile aveva depositato il ricorso. Dall’altra parte, il Broletto ha assegnato ai legali dello studio di Giuseppe Franco Ferrari, incaricato per 7mila euro dal Comune, di difendere la legittimità delle regole imposte dalla Giunta Casanova. Una vicenda giudiziaria che farà sicuramente giurisprudenza. La sentenza del ‘caso mense’ sarà, infatti, il primo in una materia che vede sempre più enti locali allineati ai principi portati avanti dall’amministrazione leghista di Lodi: per i cittadini italiani e comunitari basta presentare la certificazione Isee, per gli extracomunitari invece è indispensabile che il loro Paese d’origine attesti che là non hanno proprietà o redditi.

Al termine dell’udienza l’avvocato Guariso, che per scaramanzia ha preferito non rilasciare dichiarazioni, è uscito intorno alle 11 dal tribunale di Milano accompagnato dai rappresentanti del Coordinamento Uguali Doveri, Michela Sfondrini e Silvana Cesani. In aula ha presentato al giudice una lunga relazione per spiegare che la pretesa del Comune di Lodi è iniqua (perché in molti casi lo Stato di provenienza non ha possibilità di fornire le attestazioni richieste per mancanza di un sistema di catasto o di registri). Ma anche illogica perché, come ha sostenuto il legale, esiste il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 159/2013, che regola l’Isee, e che afferma che lo straniero è abilitato a inserire nella Dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) la dichiarazione di «impossidenza» di beni all’estero. Alla Dsu seguono (ai sensi dell’art. 2, comma 6 Dpcm) le verifiche di Inps e Agenzia dell’entrate e infine il rilascio dell’Isee, che non costituisce quindi autocertificazione ma attestazione pubblica del livello di reddito ai fini appunto dell’accesso a prestazioni sociali agevolate. L’Amministrazione comunale non ha dunque alcun potere di inserirsi in un procedimento stabilito in sede statale e ritenerlo insufficiente, gravando così il solo immigrato di oneri eccedenti ciò che, per lo Stato, costituisce «livello essenziali delle prestazioni». I legali del Comune hanno depositato una memoria, nella quale viene invece sostenuta la piena legittimità del regolamento e non si apre alcuno spiraglio a una sua modifica.