"Burocrazia e corruzione I miei figli in ostaggio"

L’ex preparatore dei portieri del Fanfulla con un male terribile e metà famiglia in Congo

Migration

di Carlo D’Elia

Una vita congelata tra burocrazia, cavilli e attese. Quella di Paolo Demichele, 47 anni, di Lodi, è una battaglia che continua ormai da tre anni. Da quando nel 2018 si è ammalato di una forma rara di tumore ai polmoni, una diagnosi che gli ha cambiato la vita e che lo ha reso invalido dopo un lungo percorso anche con cure sperimentali.

Proprio lui che per anni è stato il preparatore dei portieri in diverse squadre italiane e che prima di essere colpito dalla malattia ha lavorato a Kinshasa, capitale del Congo, coinvolto da colleghi italiani in un progetto con lo Ujana, una squadra di calcio della serie B. Il successo nel suo lavoro lo porta a gestire un centro di formazione per portieri. E nei due anni in Congo conosce sua moglie Nora che oggi, grazie a una serie di appelli al Governo nel 2018, è riuscito a portare con lui a Lodi insieme al loro figlioletto Josuè che ha tre anni.

Ma l’incubo non è finito. Perché la famiglia è ancora divisa: restano infatti bloccati in Congo i figli di Nora, tre bambini (due maschi e una femmina) di 11, 10 e 6 anni che vivono con la zia. Una situazione preoccupante nel Paese africano tra coronavirus, ebola e malaria.

"Abbiamo chiesto il ricongiungimento familiare per portare in Italia e al sicuro i figli di mia moglie – spiega Paolo Demichele – Da quel giorno è un continuo chiedere soldi per pratiche pilotate dalle traduzioni in italiano francese e viceversa, alla ricerca del padre biologico, la podestà, i vaccini che ci hanno proposto ma che non faranno mai, fino alla richiesta del Dna costato 1.040 dollari. Insomma un calvario che non porta però ad alcun risultato". Così Demichele ha deciso di lanciare un appello al ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Un grido d’aiuto, quello dell’ex preparatore dei portieri del Fanfulla, per smuovere una situazione complicata dalla burocrazia, cui si aggiunge spesso la corruzione, per ottenere servizi in Paesi come quelli africani.

"Io vivo di redditi di cittadinanza e pensione d’invalidità, mia moglie è disoccupata e comunque deve occuparsi della casa di me e del mio piccolo – dice Demichele – Chiediamo che i nostri bambini arrivino in Italia. Solo così possiamo tutti trovare finalmente un po’ di serenità. Questo è il mio sogno, visto la malattia grave che ho. Voglio vivere il tempo che mi resta dando loro finalmente un papà e la loro mamma. Chiedo al ministro Luigi Di Maio di aiutarci".