Badante scomparsa a San Colombano trovata morta nel Po, il killer di Dea "non aveva alibi"

L'ex assessore Vignati incastrato da telefonino e polvere da sparo

Il procuratore Domenico Chiaro, il capitano Vincenzo Scabotti e il maresciallo Mario Coraglia

Il procuratore Domenico Chiaro, il capitano Vincenzo Scabotti e il maresciallo Mario Coraglia

San Colombano al Lambro (Lodi), 18 febbraio 2018 - Non aveva accettato la fine della loro relazione. E così l’ha uccisa, con un colpo secco alla nuca. La vicenda dell’ex consigliere e assessore comunale leghista Franco Vignati, 64 anni, finito in manette per la morte di Kruja Ladvije, da tutti conosciuta come Dea, la badante albanese di 40 anni e madre di due figli, con la quale aveva una avuto una relazione per oltre un anno e mezzo, ha provocato ieri molto scalpore in diversi paesi al confine tra Lodigiano e Pavese. Lì dove i fiumi Lambro e Po si incontrano e dove questa brutta storia e avuto origine e la tragica fine. La donna era scomparsa a San Colombano al Lambro, il 30 maggio 2016 ed era stata ritrovata cadavere l’8 giugno nel Po alla diga di Isola Serafini, nel Piacentino.

Le indagini dei carabinieri di Stradella e della Procura di Lodi si erano strette intorno a Vignati da almeno un anno. Ma l’arresto è arrivato solo venerdì pomeriggio, dopo una trafila giudiziaria che si è chiusa solo giovedì sera con il rigetto da parte della Cassazione del ricorso presentato dal legale dell’ex assessore pavese. «Noi lo riteniamo un femminicidio in piena regola – ha dichiatato il procuratore di Lodi, Domenico Chiaro –. L’uomo era il compagno di questa donna ed era stato lasciato da lei sei giorni prima dei fatti. Quattro giorni prima era andato a prendere la sua pistola a casa della ex moglie e l’omicidio è stato una vera e propria esecuzione, un colpo alla nuca».

L’uomo non si rassegnava alla fine della relazione e al fatto di non avere più una casa (Vignati si stava separando dalla moglie e viveva in casa di Dea a Miradolo). Così, il 30 maggio 2016, aveva convocato la sua amante a San Colombano al Lambro, con la scusa di proporle un nuovo lavoro grazie a un amico imprenditore. La donna di lui si fidava, infatti aveva lasciato la sua auto ed era salita su quella di Vignati. Poi, i due si erano recati in un bar a Orio Litta, piccolo Comune che si affaccia sul Po, e dopo aver bevuto un caffé, si erano avvicinati alla sponda del fiume. Qui nessuna colluttazione. Vignati a quel punto aveva estratto dalla tasca la pistola calibro 7,62 e mentre Dea gli voltava le spalle le aveva sparato un unico colpo alla nuca. Poi l’aveva trascinata sulla sabbia fino al Po e l’aveva gettata nelle acque del fiume, dove sarebbe stata ritrovata nove giorni dopo, contro la grata della diga dell’Isola Serafini. Tanti gli indizi raccolti in questi mesi dalla Procura nei confronti di Vignati. Uno su tutti le tracce di polvere da sparo sui vestiti e nell’auto dell’uomo, ma soprattutto nella canna della pistola. Indizi chiarissimi, aggravati dal fatto che i movimenti dei due amanti erano stati confermati dalle celle dei due telefoni cellulari, dalla relazione sentimentale fra i due e dal fatto che Vignati fosse l’unico a non avere un alibi solido fra le persone sentite. Vignati, comunque, continua a ribadire la sua innocenza. L’ex assessore leghista sarà interrogato a Lodi domani per l’interrogatorio di garanzia.